25 aprile. La letteratura della Resistenza: "La casa in collina" di Pavese

Le battaglie di ieri e di oggi: le epoche passano, le debolezze restano

Cesare Pavese
Antonio R. Daniele

Se ci facciamo un giro tra i canali tv vedremo che oggi le questioni sociali più urgenti, se mai vengano affrontate sul campo, sono tutte demandate all’azione dei politici. All’intellettuale è riservato il campo dell’opinione, la quale – in tempo di Covid – più che da una torre d’avorio, è per lo più offerta dal chiuso delle camere davanti a un monitor, qualche volta da comode case di campagna, al riparo dal mondo. 


Ora facciamo un giro anche tra le pagine di La casa in collina, il romanzo che Cesare Pavese scrisse e pubblicò in piena temperie neorealista: c’è la guerra, ci sono i bombardamenti, si muore. C’è un docente in pensione che si rifugia su una collina. Giunge l’armistizio, è il momento di venire allo scoperto: fare la Resistenza o attendere. Azione o parola. Corrado – il professore di Pavese – resterà sulle colline. Parla, giudica, ha ben chiaro cosa gli stia capitando attorno, ma al di là della parola non sa andare. Si ferma. Forse, anche, è fermato. Perché Pavese gli mette due donne accanto, nella storia, anzi tre. E il sentimento che lo riporta a Cate, la ragazzina che ha amato un tempo e forse ancora ama, è quall’angoscia che lo svela a se stesso e fino alla fine. Perché quando Cate viene catturata dai tedeschi lui pensa alla pelle. E la sua scienza si fa polvere, nuvola di fumo. 


C’è questo breve tratto estetico comune fra La casa in collina e La ciociara di Moravia, altro caposaldo della nostra narrativa resistenziale: un intellettuale e due donne. in Moravia Michele, Cesira e la figlia Rosetta. E il fiore di un sentimento tenero, forse di Michele per Cesira, forse di Rosetta per Michele. Sta di fatto che Michele, il letterato della storia, non scappa, anzi muore per gli altri, ma non certo come eroe. Michele disprezza tutto, anche la sua gente, si fa uccidere dai tedeschi quasi per dispetto di chi non crede al sacrificio per la libertà. Credeva nel giudizio della sua parola. Ma non era bastato a destare i suoi dal torpore. 


Il Corrado di Pavese è un dramma ancora maggiore, perché di fronte al figlio di Cate – forse suo figlio – che intanto si è unito ai partigiani, continua a ripararsi. E torna a casa. Il volto del ragazzo combattente che potrebbe dirgli qualcosa apre la crisi finale sul glutine della parola e sulla necessità di operare.

Nella battaglia dei nostri giorni rileggere La casa in collina è necessario: in fondo le epoche passano, gli sfondi mutano, ma le debolezze nostre ci restano addosso.