Quanto sono importanti i social media? Che impatto hanno al giorno d’oggi? C’è futuro per i “vecchi media”? In occasione del social media day abbiamo chiacchierato, di questo e di tanto altro, con la professoressa Fiammetta Fanizza, docente di Sociologia della Comunicazione dell'Unifg.
Mashable - web d'attualità statunitense - ha lanciato Il 30 giugno 2010 ufficialmente il Social Media Day per riconoscere e celebrare l’importanza dei social media come mezzo di comunicazione ormai centrale nelle vite di molti. Partiamo proprio da qui.
"Sebbene in controtendenza rispetto al racconto che ha tenuto banco durante il periodo pandemico, media e social media svolgono una funzione straordinaria, essenzialmente perché la fruizione digitale fonda e mette in pratica un principio democratico, cioè concede a tutti la possibilità di conoscere e di avere una rappresentazione della realtà e, per così dire, del mondo. La fruizione digitale mette tutti sullo stesso piano perché la diffusone della notizia apre spazi di pensiero ed al tempo stesso contribuisce a non rendere la nostra una società una società chiusa. "
Siamo abituati a sentire parlare degli effetti dannosi che i social producono soprattutto sulle nuove generazioni e quasi mai delle peculiarità positive. Quante e quali declinazioni ci sono?
"Oltre alla già citata democrazia, e non sottovalutando profili di negatività e insidie connaturate alla frequentazione della rete, le grandi potenzialità dei social potrebbero essere declinate per fronteggiare la povertà educativa, cioè impiegate per sviluppare pratiche dialogiche e dialettiche orientate all’arricchimento della persona e delle società. Le grandi potenzialità dei social potrebbero fronteggiare la povertà educativa cosicché essa, da mera etichetta e stigma, potrebbe assumere una concretezza e forza pragmatica tale da assegnare ai processi sociali obiettivi e significati nuovi. Nel connettere la dimensione educativa alla dimensione civica, media e social media diventano vettori di conoscenze, nel senso che chi riceve notizie e ottiene informazioni può realisticamente sviluppare consapevolezze e, ben oltre la mera resilienza, decidere, scegliere, cambiare, nel bene così come nel male."
Quando parliamo di rivoluzione digitale, spesso, ci riferiamo ad un mezzo di comunicazione che sostituisce quelli tradizionali come la radio, i giornali e tv. C'è ancora futuro per loro? "Vecchio" e "nuovo" possono coesistere in futuro?
"Devono coesistere. Non si tratta di sostituire. L’innovazione tecnologica non è un ‘nuovismo’, non è una moda ma un diverso orizzonte di pensiero. Le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale, i social media ci insegnano semplicemente a pensare e comunicare in un altro modo. Non è vero che l’editoria è alla deriva. Induce in errore, ad esempio, affermare che la radio verrà sostituita dai podcast oppure che il giornalismo tradizionale non è morto. La coesistenza non è un problema (mai!), anzi è una ricchezza che, se gestita con consapevolezza e opportune competenze, interviene nelle povertà, prima tra tutte in quella educativa. Cosicché, e lo ribadisco con forza, la convivenza e simultaneità tra “vecchio” e “nuovo” non è una concessione temporanea, ma un orizzonte teorico-pratico assolutamente indispensabile."
Forse non ce ne rendiamo conto, ma sono passati solo 16 anni dalla loro diffusione. In questo lasso di tempo, i social hanno contribuito alla creazione anche di nuove figure professionali. Quanto ancora c'è di potenziale non sfruttato?
"Non sono del settore informatico e mi astengo dai giudizi tecnici, tuttavia con curiosità spero che l’informatica possa diventare essa stessa un media. Il Corso di laurea in Innovazione Digitale e Comunicazione, una delle ultimissime novità accademiche per il nuovo anno di immatricolazione targato Unifg, si prefigge proprio di fornire conoscenze e strumenti per pervenire ad una rappresentazione significativa della realtà proprio attraverso i prodotti comunicativi dell’informatica. Purtroppo l'ossessione tecnicista interferisce nel significato sociologicamente inteso e percepito dell'informatica. È questo ad esempio il motivo per cui la DAD, piuttosto che essere apprezzata come strumento utilissimo che può permettere la fruizione democratica e alla pari dei saperi, è bistrattata a prescindere, e ormai a prescindere dalla innegabile e preziosa funzione esercitata durante l’emergenza pandemica.
Insomma, bisogna saper leggere l’innovazione poiché un semplice paradigma non basta più. Oggi siamo in un’altra dimensione fatta di circolarità e di reti intricate di nodi. Fondamentale è quindi il framework, cioè l'orizzonte di pensiero grazie al quale il pluralismo culturale sostiene il pluralismo delle possibilità. Una sfida particolarmente impegnativa e performante, che oltre gli apparati concettuali, va alla scoperta dell'intercultura quale "valore - passepartout" per conferire all’innovazione digitale la capacità di dare forma alla società dell’accesso auspicata da Jacques Delors nel suo "libro bianco" del 1993.