Dal Colera al Covid: la pandemia ci insegni a non restare prigionieri

Quando la storia si ripete. L'epidemia di colera che colpì l'Italia meridionale nell'estate del '73 riporta alla memoria immagini nitide, in un Paese alle prese con una nuova campagna di vaccinazione di massa

dal colera al covid
Gaetano Serviddio*

Era l’estate del 1973, quando le ferie si facevano ad agosto e la gente partiva, accalcata, per i luoghi di villeggiatura. Quella volta tutto cominciò al Sud, a Napoli: alcuni casi di gastroenterite in rapida successione non destarono preoccupazione; poi, il 20 agosto, morì, all’ospedale dei Pellegrini, Linda Heyckeey, una ballerina inglese a cui era stata diagnosticata una enterocolite acuta. Nei giorni successivi morirono altre due donne, napoletane, ma erano entrambe anziane e nessuno se ne meravigliò. Il primario del reparto di Medicina Interna, il dott. Brancaccio, che per primo parlò di colera, fu accusato di scandalismo dal direttore dell’Ospedale Cutugno, Ferruccio De Lorenzo, che temeva la paura nella gente.

Avevo solo due anni ma di storie di quei giorni ne ho sentite tante: il sindaco di Bari, Nicola Vernola, dispose la chiusura di tutti i locali pubblici costringendo i baresi a casa, tra giochi di carte e due canali tv. Si narra, persino, di un allarmatissimo Aldo Moro che aveva cenato con il sindaco democristiano a Bari un paio di giorni prima.

Si fermò il campionato, si spostò l’inaugurazione della Fiera del Levante e la scuola cominciò un mese dopo. Quella volta non fu un virus dalla forma regale a lasciarci senza respiro ma un batterio arcinoto, a forma di virgola, che aveva colpito molte volte nei secoli e ucciso, a Napoli, anche Leopardi. Già allora, però, si cercarono colpevoli improbabili: se questa volta è colpa della Cina lontana, allora fu dell’Africa, di quel Terzo Mondo tanto vicino da non riuscire a vederlo.

Anche le fonti del contagio furono più modeste: oggi l’immaginifico pipistrello del mercato di Wuhan, allora le cozze della Tunisia. A Napoli andarono a ruba i limoni di Sorrento, venduti al mercato nero, perché sembravano capaci di contrastare gli effetti del vibrione; 50 anni dopo va a ruba una compressa per la gotta!

La gente si accalcò fuori dagli ospedali e manifestò davanti ai centri vaccinali allestiti per l’occasione come la Casa del popolo di Ponticelli. I cordoni sanitari chiusero interi quartieri, i medici furono reclusi nei reparti infettivi e i pazienti isolati per settimane. Ci fu, però, una grande gara di solidarietà e mobilitazione: partì una straordinaria campagna di vaccinazione grazie alle siringhe a pistola della Sesta Flotta americana stanziata nel Golfo di Napoli. Il Ministero della Sanità sconsigliò la seconda somministrazione di vaccino che la Regione Campania autorizzò ugualmente e l’italianissima azienda farmaceutica di Achille Sclavo ne produsse due milioni di dosi.

Il colera scoprì il volto del razzismo contro il Meridione e ancora oggi campeggiano sui social network, indelebili, le ingiurie contro i napoletani. Il colera era frutto delle cattive condizioni igienico-sanitarie delle città, era il frutto dell’incuria dei governanti e del degrado sociale. Fu, però, anche impulso per migliorare la qualità della vita dei ceti più fragili, fu ripensata l’assistenza sanitaria, nacquero gli uffici per i controlli delle acque, migliorarono le tecniche di allevamento, furono potenziati gli uffici igiene.

Ciò che abbiamo visto in questo lungo anno non è molto diverso da ciò che hanno vissuto i nostri genitori allora, è solo tutto più grande perché il mondo è più piccolo, più stretto, più vicino. Se allora l’Africa ci sembrava troppo lontana, oggi la Cina ci sembra fin troppo vicina. Siamo rimasti chiusi per accorgerci che non esiste più un luogo dove restare nascosti e protetti.

Se la pandemia ha fatto emergere paure ed egoismi, ci ha reso anche consapevoli che non si può più scappare dal mondo in cui viviamo; il tempo è finalmente maturo per ripensarlo, per riordinarlo e per migliorarlo. La pandemia è un’opportunità da non perdere.

 

* Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche

Gaetano Serviddio