La sentenza della Corte di Coblenza e la giurisprudenza dei crimini internazionali

Lo studio di un dottorando Unifg sul tema 

La sentenza della corte di Coblenza
Francesca Romana Cicolella

La politica e la giurisdizione internazionale sono al centro del dibattito e delle pagine di cronaca in questo momento storico. Ciò che i governi e le nazioni possono fare di fronte a crimini di portata internazionale non è sempre noto ed è, anzi, materia di studio in continua evoluzione nella giurisprudenza.  Per Unifgmag ne abbiamo parlato con Marco Buccarella, dottorando in Scienze Giuridiche dell’Università di Foggia che, in uno studio appena uscito sulla rivista scientifica online “Diritto pubblico comparato europeo e internazionale”, si è occupato della pronuncia della Corte di Coblenza. Con una sentenza del gennaio 2022, infatti, questa Corte ha condannato un alto funzionario di Stato del Governo di Assad per crimini internazionali. 

  • Dove e quando nasce l’esigenza di scrivere un approfondimento sulla recente pronuncia della Corte di Coblenza? Di cosa si tratta esattamente?

Con la sentenza del 13 gennaio 2022, la Corte di Coblenza (Oberlandesgericht Koblenz) ha condannato all’ergastolo Anwar Raslan, un ex superiore militare del Governo di Bashar Hafiz al-Assad che, in passato, ha guidato l’Interrogation Department del centro di detenzione Al-Khatib di Damasco, anche noto come Branch 251. Questo verdetto segue, a distanza di quasi un anno, una precedente sentenza di condanna emessa dallo stesso tribunale tedesco a carico di un altro funzionario dell’intelligence del Governo siriano, ossia Eyad al-Gharib. Si tratta delle prime pronunce al mondo ad aver accertato le responsabilità penali di due alti funzionari di Stato come Anwar Raslan e Eyad al-Gharib, ritenuti colpevoli di essere stati, rispettivamente, autore materiale e complice di varie atrocità commesse nelle carceri statali, a danno dei cittadini siriani che erano stati arrestati nel corso di manifestazioni antigovernative. Tali sentenze segnano un risultato storico per la giustizia penale internazionale, costituendo le prime condanne del sistema repressivo posto in essere dal regime di Assad, contro le rivoluzioni sorte in Siria a partire dal marzo 2011. Stiamo parlando di verdetti che hanno appurato la sussistenza di un meccanismo organizzato di abusi, torture, sparizioni forzate e uccisioni, di cui i giudici tedeschi hanno potuto accertare le responsabilità personali di due ex vertici di Stato, grazie alle dichiarazioni di vittime e testimoni e alle risultanze documentali acquisite nel corso del processo (noto come processo Al-Kathib). Tra il materiale probatorio su cui si fondano le decisioni della Corte tedesca rientra anche il dossier fotografico fornito da Cesar, pseudonimo attribuito ad un ex militare che, in quanto fotografo ufficiale dell’esercito siriano, aveva documentato le torture inflitte nelle prigioni di Stato tra il 2011 e il 2013. Entrambe le sentenze della Corte di Coblenza costituiscono diretta applicazione del principio di giurisdizione universale in materia penale disciplinato dal Codice tedesco dei crimini internazionali (Völkerstrafgesetzbuch o VStGB), in virtù del quale i tribunali nazionali possono esercitare la propria giurisdizione su cittadini stranieri responsabili di crimini internazionali, a prescindere dalla sussistenza di un collegamento tra il foro procedente e il reo.

  • L’aspetto più interessante riguarda indubbiamente l’impiego della giurisdizione penale universale come strumento per perseguire gli autori di crimini internazionali: in cosa consiste? Come opera nell’ambito dell’ordinamento giuridico tedesco? 

In applicazione del principio o criterio della giurisdizione penale universale, un individuo che ha commesso crimini internazionali può essere perseguito e processato in un Paese diverso dal proprio, anche se i fatti contestati e le vittime non presentano un collegamento con le autorità giudiziarie procedenti. L’universalità in materia di crimini internazionali si basa su un’idea di fondo, secondo cui le atroci condotte che configurano i crimini internazionali ledono i valori e gli interessi dell’intera Comunità internazionale. In questo senso, proprio in ragione della straordinaria gravità di tali crimini, qualsiasi Stato potrebbe, in linea generale, esercitare la propria giurisdizione sul soggetto che se ne rende responsabile, in deroga ai tradizionali criteri della territorialità e della nazionalità del reo o della vittima. Ad oggi, si riconoscono tradizionalmente due forme di giurisdizione universale penale, di cui una subordinata alla sussistenza di alcuni requisiti (come la presenza dell’accusato nell’ambito del territorio dell’autorità statale che intende agire) e l’altra, invece, cd. pura o in absentia, in quanto svincolata da ogni forma di collegamento tra il foro e il fatto. Occorre precisare che l’esercizio della giurisdizione di uno Stato sulla base del principio di universalità integra, in ogni caso, un’ipotesi di giurisdizione residuale, che sussiste nella misura in cui non intervengano lo Stato di nazionalità oppure quello che presenta un collegamento “più stretto” con il crimine.
Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico tedesco, il Codice dei crimini internazionali vigente in Germania accoglie il principio di universalità puro, per effetto del quale la giurisdizione tedesca trova applicazione ogniqualvolta siano commessi crimini contro il diritto internazionale, indipendentemente dalla sussistenza dei criteri di collegamento. Sotto il profilo processuale, la competenza a procedere spetta al Procuratore generale federale tedesco, che, in linea di principio, potrebbe avviare procedimenti per perseguire gli autori di crimini internazionali a prescindere da qualsivoglia criterio di collegamento rationae loci o rationae personae. Tuttavia, nonostante l’ordinamento tedesco contempli l’esercizio della giurisdizione penale universale nella sua forma pura, la prassi dimostra come la presenza dell’accusato nel territorio tedesco rappresenti, nella maggior parte dei casi, un elemento fondamentale ai fini del concreto esercizio dell’azione penale da parte del Procuratore generale.

  • Da un punto di vista storico-giuridico, quando è stata riconosciuta per la prima volta la responsabilità penale individuale per la commissione dei crimini internazionali?

L’idea che sussista una responsabilità individuale per la commissione di tali crimini si è affermata a partire dalla seconda guerra mondiale e, segnatamente, dal 1945, anno in cui, tramite l’Accordo di Londra, fu istituito il noto Tribunale Militare Internazionale di Norimberga per perseguire i criminali nazisti. I crimini internazionali individuali, o crimini commessi dall’individuo contro il diritto internazionale, sono infatti tradizionalmente suddivisi, secondo una ripartizione che risale proprio all’Accordo di Londra, in crimini contro la pace, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. All’emergere del diritto penale internazionale seguì dapprima una fase di riproposizione dei principi fondanti il processo di Norimberga, mediante risoluzioni e trattati; tuttavia, il clima di tensione della Guerra Fredda finì per paralizzare la piena operatività del diritto penale internazionale. Dopo l’esperienza del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, il tema dei crimini internazionali individuali ha quindi riacquistato un’effettiva centralità con la creazione di Tribunali ad hoc per la repressione dei crimini commessi nella ex Iugoslavia e in Ruanda e, poi, a seguito dell’istituzione della Corte penale internazionale (CPI) nel 1998, il primo tribunale giurisdizionale a carattere permanente competente in materia. Tale Corte è stata istituita con lo Statuto di Roma, adottato nel 1998 da un’apposita Conferenza di Stati ed entrato in vigore nel 2002. Gli artt. 5-8 dello Statuto di Roma sviluppano l’originaria ripartizione dei crimini internazionali risalente allo Statuto del Tribunale di Norimberga, distinguendo i crimini internazionali in quattro categorie: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra  e il crimine di aggressione (la cui definizione è stata introdotta nel 2010 con l’art. 8 bis). Nel caso della condanna all’ergastolo di Anwar Raslan, la Corte di Coblenza, nell’esercitare la giurisdizione universale in materia penale, ha ritenuto l’ex ufficiale militare siriano colpevole di alcuni crimini contro l’umanità e, in particolare, di omicidio, tortura, violenza sessuale e privazione di libertà in violazione delle norme fondamentali di diritto internazionale.

  • Qual è la competenza della CPI in materia di persecuzione dei crimini internazionali?

La Corte Penale Internazionale, che ha sede a l’Aja, nei Paesi Bassi, esercita il proprio potere giurisdizionale sulle persone fisiche e non sugli Stati, diversamente da quanto si verifica nel caso della Corte Internazionale di Giustizia. 
In linea generale, in materia di crimini internazionali la CPI ha giurisdizione ratione loci o ratione personae. Sotto il primo profilo, la Corte è competente per i crimini commessi, da un individuo di qualsiasi nazionalità, nel territorio di uno Stato che abbia prestato il proprio consenso, tramite ratifica dello Statuto o attraverso una dichiarazione ad hoc. La Corte è invece competente rationae personae per i crimini commessi da individui il cui Stato di nazionalità abbia ratificato lo Statuto di Roma o, in alternativa, espresso una dichiarazione ad hoc. A fronte di tali regole generali, l’art. 13, lett. b), dello Statuto di Roma ammette poi una specifica eccezione, prevedendo che la Corte penale internazionale possa esercitare la propria giurisdizione anche in assenza del consenso dello Stato interessato, nel caso in cui intervenga una decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU. Il ricorso a tale procedura, tuttavia, può di fatto essere ostacolato dai cinque Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, e Francia), che, come noto, godono dell’esercizio diritto di veto rispetto all’adozione di qualsiasi delibera che non abbia carattere procedurale.
La competenza della CPI è complementare rispetto a quella dei tribunali nazionali, con la conseguenza che la Corte potrà intervenire solo nell’ipotesi in cui il Paese che ha giurisdizione nel merito non intenda o non possa condurre le indagini ovvero celebrare il processo. La funzione di vertice o di comando rivestita dai colpevoli dei crimini internazionali nell’ambito del proprio Stato ostacola, la maggior parte delle volte, l’esercizio dell’azione giudiziaria da parte dell’ordinamento nazionale interessato, così rendendo necessario un intervento a livello internazionale.

  • Tornando al processo di Coblenza: abbiamo visto che la Germania si è dotata di uno strumento legislativo interamente dedicato ai crimini internazionali. Qual è invece la situazione in Italia?

L’Italia, da un punto di vista cronologico, è stato il quarto Paese del Mondo e il primo in Europa ad aver ratificato lo Statuto della Corte Penale Internazionale, con la Legge 12 luglio 1999, n. 232. A fronte della necessità di adeguare ulteriormente la normativa interna allo Statuto della Corte penale internazionale, l’Italia ha poi adottato la Legge 20 dicembre 2012, n. 237, disciplinando gli aspetti procedurali relativi al rapporto di cooperazione tra la propria giurisdizione e quella della CPI. Tuttavia, sotto il profilo dell’implementazione dello Statuto di Roma da un punto di vista sostanziale, l’Italia risulta essere in ritardo rispetto ad altri Paesi, come la Germania. L’ordinamento italiano è ad oggi ancora sfornito di una disciplina ad hoc in materia di crimini internazionali, nonostante nel corso delle passate legislature siano state elaborate diverse proposte, tra cui quelle della Commissione Conforti e del Progetto Cariplo.
Proprio di recente, il Ministro della Giustizia, con D.M. del 22 marzo 2022, ha istituito una nuova Commissione di esperti per dare concreta attuazione agli impegni internazionali assunti con l’entrata in vigore dello Statuto di Roma, che compirà vent’anni nel luglio 2022. Secondo quanto stabilito con tale D.M., la Commissione ministeriale, ufficialmente insediatasi il 31 marzo 2022, dovrà esaminare le proposte già formulate in passato per l’implementazione dello Statuto di Roma e, quindi, provvedere alla stesura del Codice dei crimini internazionali entro il 30 maggio 2022. A partire da tale data, dovrebbe poi essere avviato l’iter per trasferire l’elaborato in una proposta legislativa da sottoporre all’esame parlamentare, ai fini della approvazione di una normativa ad hoc. La speranza è che, questa volta, il nostro legislatore possa davvero giungere all’approvazione di un nuovo corpus iuris, appunto un Codice italiano  dei crimini internazionali, che disciplini compiutamente anche l’applicazione della giurisdizione penale universale.

  • Rispetto all’accertamento delle responsabilità a carico del Governo di Assad, quanto hanno inciso i fattori politici sull’azione dei tribunali e sulle iniziative poste in essere dalla Comunità internazionale per la risoluzione della crisi siriana?

Nel caso del conflitto siriano, le numerose iniziative avviate a livello internazionale per risolvere la situazione siriana non hanno trovato, sul piano giurisdizionale, i corrispondenti mezzi per garantire la punizione degli autori dei crimini internazionali. Da una parte, la CPI non ha potuto e non può esercitare la propria giurisdizione sui crimini commessi in territorio siriano, dal momento che la Siria non è tra i Paesi firmatari dello Statuto di Roma né tanto meno ha espresso una dichiarazione ex art. 12, par. 3, dello Statuto; dall’altra, il tentativo delle Nazioni Unite di deferire la questione alla Corte penale internazionale è stato ostacolato nel 2014 da due Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cioè Cina e Russia. A prescindere dalle motivazioni espresse a sostegno del veto posto in quella circostanza, la questione sorta in ambito ONU dimostra l’esistenza di problemi di natura geo-politica rispetto alla situazione siriana, stante anche l’aperto sostegno della Russia al Governo di Assad. Da questo punto di vista, la giustizia penale internazionale manifesta ancora una certa inidoneità a garantire un’effettiva tutela giudiziaria di beni e valori di interesse generale della Comunità internazionale. Non è quindi un caso se la prima condanna dei crimini commessi dal Governo di Assad, sul piano giurisdizionale e non solo “politico”, è stata possibile soltanto grazie all’intervento dei giudici nazionali, nel caso di specie della Corte di Coblenza, in applicazione della giurisdizione penale universale.

  • Rispetto all’attuale conflitto in Ucraina come si stanno muovendo le nazioni sotto questo punto di vista? Cosa potrebbero fare seguendo le linee del diritto internazionale penale?

A seguito dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina, sul piano internazionale si sono succeduti diversi eventi significativi. Occorre infatti ricordare che la Corte Internazionale di Giustizia si è pronunciata in via cautelare sul ricorso promosso dall’Ucraina, ordinando alla Russia di sospendere immediatamente le operazioni militari avviate il 24 febbraio 2022. Ancora, la Russia ha cessato di essere membro del Consiglio d’Europa e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), su richiesta di 45 Paesi, ha attivato il cd. Meccanismo di Mosca, istituendo una commissione di tre esperti incaricati di indagare su eventuali violazioni e abusi, commessi in Ucraina, dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. 
Per quanto riguarda l’azione della CPI rispetto al conflitto in territorio ucraino, va innanzitutto precisato che l’Ucraina non è uno Stato parte della Corte, non avendo ad oggi ancora ratificato lo Statuto di Roma. Tuttavia, a seguito degli eventi criminosi che si sono susseguiti sul territorio ucraino a partire dal 2013, il governo di Kiev ha presentato, nel 2014 e nel 2015, due dichiarazioni ad hoc di accettazione della giurisdizione della CPI, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12, par. 3, dello Statuto di Roma. Sulla base di tali dichiarazioni, già nel 2020 l’allora Procuratore della CPI, dopo una lunga attività di indagine preliminare, aveva ritenuto sussistenti tutti i criteri previsti dallo Statuto di Roma per l’apertura di una specifica indagine. L’indagine in questione, però, è stata formalmente avviata soltanto dopo i recenti eventi. Infatti, lo scorso 28 febbraio 2022 l’attuale Procuratore della Corte penale internazionale ha confermato le conclusioni rassegnate dal suo predecessore, per il resto invitando gli Stati membri ad attivare il meccanismo previsto dal combinato disposto degli artt. 13 e 14 dello Statuto. Tale procedura consente alla Procura di evitare il passaggio procedurale che impone di ottenere l’autorizzazione da parte della Pre-Trial Chamber (Camera preliminare), così accelerando il formale avvio dell’indagine. Nel caso di specie, ad oggi ben 41 Paesi (tra cui l’Italia) hanno interpellato il Procuratore ai sensi dell’art. 13, par. 1, dello Statuto, segnalando gli eventi criminosi commessi in territorio ucraino e chiedendo quindi di procedere con l’indagine. La Comunità internazionale si è poi dimostrata compatta anche in sede ONU, ossia in occasione dell’adozione della Risoluzione del 2 marzo con cui l’Assemblea Generale, con il voto favorevole di 141 Stati, ha chiesto alla Russia di ritirare le proprie forze militari dal territorio ucraino, e della Risoluzione del Consiglio per i Diritti Umani del 4 marzo, che ha disposto l’istituzione di una Commissione d’inchiesta indipendente in merito ai possibili abusi e violenze commessi nel conflitto in Ucraina.
In questo quadro, si inserisce poi anche la possibilità per i singoli Stati di procedere sulla base della giurisdizione universale penale, che, come abbiamo detto, nella sua forma più pura non richiede alcun tipo di collegamento. Ad oggi, indagini in questo senso sono state annunciate dalla Spagna, dalla Germania e dalla Lituania. Al di là degli specifici risvolti giuridici, è evidente che le indagini autonomamente avviate dai singoli Paesi, oltre ad avere un’indubbia rilevanza politica, potrebbero avere una loro utilità anche sul piano investigativo, nella prospettiva della cooperazione giudiziaria internazionale.
Un discorso a parte dovrebbe poi essere condotto rispetto all’impiego delle sanzioni economiche, declinate modalità differenti, contro la Russia. Ad ogni modo l’auspicio è che le diverse azioni ad oggi intraprese dalla Comunità internazionale e dai singoli Stati possano favorire la risoluzione dell’attuale conflitto e la definitiva liberazione del territorio ucraino dalle truppe russe.