Il Dipartimento di Agraria (DAFNE) dell’Università di Foggia da tempo è attivamente impegnato su questi “caldissimi” fronti
La Giornata Mondiale dell’Ambiente si celebra, dal 1974, il 5 giugno di ogni anno ed è il più grande evento annuale delle Nazioni Unite che promuove un’azione concertata a scala mondiale per la salvaguardia del Pianeta, delle sue risorse ambientali e dei suoi ecosistemi, sensibilizzando a riguardo non solo i governi, ma anche le imprese, le associazioni e tutti i cittadini.
Un concetto estremamente utile è quello di assumere dei confini planetari al di là dei quali i fondamentali processi di regolazione del sistema Terra sarebbero compromessi, mettendo così a repentaglio la salute complessiva del pianeta e la sopravvivenza delle comunità viventi, uomo compreso. Un concetto anche molto pratico, perché in questo modo è possibile individuare le criticità ambientali più urgenti che andrebbero affrontate prioritariamente in quanto hanno superato il loro “livello di guardia.
Un gruppo di scienziati propose questo approccio già nel 2009; erano guidati da Johan Rockström dello Stockholm Resilience Center e da Will Steffen dell’Australian National University, ed elaborarono il modello noto come “a safe operating space for humanity” (Nature, 461, 472-475). Secondo questo studio, e molti altri a seguire lo hanno confermato, le criticità ambientali per le quali l’intervento di alterazione dell’uomo ha determinato condizioni di ampio e preoccupante superamento dei “planetary boundary” sono rappresentate dalla perdita della biodiversità, dal cambiamento climatico, dalla modifica del ciclo dell’azoto.
La perdita della biodiversità procede a ritmi impressionanti e riguarda la distruzione degli habitat e delle specie in essi presenti, le modifiche d’uso del suolo e l’espansione degli spazi costruiti ed artificiali, l’introduzione di specie alloctone a carattere invasivo, l’intensificazione dell’agricoltura, l’inquinamento dei mari e degli oceani, l’incessante deforestazione a scala globale. Oltre che una perdita inestimabile del patrimonio biologico planetario, la biodiversità costituisce un baluardo per garantire la resilienza degli ecosistemi al cambiamento climatico ed un fattore di riequilibrio e di diversificazione assai rilevante. Basti considerare, a mo’ di esempio eclatante, il ruolo insostituibile svolto dalle api in agricoltura ed i danni irreversibili che conseguono alla loro progressiva rarefazione, fino alla totale scomparsa ormai registrata in numerosi ambienti.
Il cambiamento climatico è determinato dall’aumento della concentrazione in atmosfera di quei gas ad “effetto serra”, accentuando così il riscaldamento globale. Non si tratta semplicemente dell’anidride carbonica, principalmente emessa dall’uso dei combustibili fossili, ma anche del metano (presente, ad esempio, nelle emissioni enteriche prodotte dagli allevamenti zootecnici) e del protossido d’azoto (rilasciato in atmosfera a seguito delle concimazioni in agricoltura). L’accordo di Parigi (COP 21) e la strategia climatica europea hanno assunto obiettivi assai ambiziosi relative al taglio delle emissioni GHG (green hous gasses), fino al loro azzeramento al 2050, e per la transizione verso fonti energetiche rinnovabili: Purtroppo, ancora fortissima è l’inerzia che contraddistingue i processi di riconversione industriale e l’assunzione di nuovi modelli di consumo. Gli effetti di un eventuale superamento della temperatura planetaria superiore od anche uguale a 2 °C sarebbero disastrosi e di difficile recupero (scioglimento delle aree ghiacciate del globo, innalzamento del livello degli oceani, sommersione di ampie porzioni della superficie terrestre, drastica alterazione della produttività agraria, accentuarsi delle inondazioni associate all’intensificarsi di periodi siccitosi, inaridimento e desertificazione, migrazioni climatiche, ecc.).
L’intervento dell’uomo ha determinato una profonda alterazione del naturale ciclo dell’azoto. In particolare, la rilevante richiesta di concimi azotati minerali di sintesi, da destinare ai campi coltivati, ha intensificato la conversione industriale dell’azoto molecolare atmosferico (N2) in azoto reattivo (inizialmente ammonio e poi nitrato). Un’incredibile quantità di azoto reattivo viene sintetizzato ed immesso nell’ambiente dove va ad interessare praticamente tutti i comparti ambientali: il suolo agrario, le acque superficiali e profonde, l’atmosfera. Dovunque esso crea problemi d’inquinamento, acidificazione delle acque, piogge acide, fenomeni eutrofici accompagnati da moria di pesci e di ogni altra forma di vita acquatica, incremento di PM10 e PM2,5 nell’aria (problema per cui l’Italia è stata sanzionata da parte della UE).
Il Dipartimento di Agraria (DAFNE) dell’Università di Foggia da tempo è attivamente impegnato su questi “caldissimi” fronti realizzando sperimentazioni, progetti di ricerca a scala regionale, nazionale ed europea e fruttuose collaborazioni con alcune imprese del settore agro-industriale. L’avanzato fronte dell’innovazione da noi proposta s’innesta nell’alveo di alcuni ambiti tematici oggi indicati come bio-based economy, circular economy, biorefinery, green chemistry, e perseguono i seguenti obiettivi generali: promuovere la dimensione circolare dell’economia, conseguire la neutralità climatica, trasformare i sistemi di produzione ed i modelli di consumo secondo due direttrici complementari: la sostenibilità ecologica e la compatibilità ambientale, salvaguardare le risorse naturali, garantire la sicurezza alimentare ed un ambiente pulito e sano.
In particolare, occorre sostenere tecnologicamente gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo favorendo ricerche orientate ad un impiego più parsimonioso ed efficiente delle risorse, entro i limiti della loro riproducibilità, rispettandone l’integrità e prevenendone il degrado. Il settore agroindustriale può attivare processi innovativi in modo parallelo e complementare a quello agroalimentare. Una diversificazione produttiva si ottiene attraverso lo sviluppo del settore “no food” incentrando l’offerta su prodotti bio-based. Se ne avvantaggerebbe anche un modello di consumo meno impattante, capace di mitigare il cambiamento climatico e di azzerare la generazione di rifiuti.
Puntiamo allo sviluppo di tecnologie dedicate al recupero e valorizzazione di residui, scarti, reflui ed effluenti, sottoprodotti dei processi agroalimentari per ottenere nuovi materiali, composti chimico-industriali ad elevato valore aggiunto (“fine chemicals”), nuove fonti di nutrienti, fertilizzanti ed ammendanti per l’agricoltura, biocombustibili e biocarburanti “avanzati”.
Il recupero dei nutrienti può essere indirizzato all’ottenimento di sostanze funzionali e di nuovi ingredienti alimentari; processi di riformulazione dei prodotti alimentari e creazione di nuovi prodotti ad elevato valore nutrizionale; processi estrattivi “green chemistry” da biomasse algali, agrarie o frazioni organiche di rifiuti secondo un approccio “cascading”; valutazioni agronomiche di potenziali fertilizzanti agrari ottenuti da processi bio-based; processi biorefinery per il recupero di “platform compound”, composti bioattivi, unitamente a processi di digestione e /o fermentazione per l’ottenimento di vettori energetici avanzati (es. idrogeno). L’analisi “carbon footprint” di tutti questi processi produttivi deve orientarsi verso interventi finalizzati a massimizzarne il “risparmio” emissivo.
Tutto ciò è accompagnato dall’applicazione di tecniche agronomiche meno impattanti e a risparmio di energia fossile; tecniche d’agricoltura biologica e di “precision farming”, in grado d’incrementare l’efficienza d’uso degli input agrotecnici e ridurre le perdite inquinanti a carico dei comparti ambientali, con particolare riguardo all’efficienza dell’irrigazione ed della concimazione organico-minerale; recupero e valorizzazione di acque reflue e fanghi di depurazione; strategie innovative ed altamente ecocompatibili per conseguire il controllo di patogeni ed insetti dannosi in un quadro di diversificazione funzionale degli agro-ecosistemi; applicazione di biostimolanti agricoli; incremento della fertilità dei suoli agrari con particolare attenzione alla sostanza organica ed alla sua capacità di catturare carbonio ai fini di un’efficace mitigazione climatica; impiego del biochar come ammendante agrario, in grado di attivare processi “carbon negative” di cattura e sequestro mediante processi termochimici (pirolisi e gassificazione) a carico di biomasse ligno-cellulosi che di origine agro-forestali.
Un’ultima, conclusiva considerazione riguarda il valore ecologico degli ambienti agrari e forestali e la consapevolezza che essi sono in grado di fornire uno spettro multifunzionale di servizi ecosistemici, monetizzabili o meno, che andrebbero salvaguardati, in primis, e valorizzati al meglio per trarne benefici in grado di compensare le esternalità generate dalle attività fortemente impattanti dell’antropocene. Come si comprende, tutto ciò rappresenta un amplissimo ventaglio di opzioni e strategie d’innovazione, tutte di estrema attualità e sicuro interesse.
*Docente di Agronomia e Coltivazioni erbacee presso il DAFNE