Gifuni nonno e nipote. Il diritto, i libri, il patrimonio pubblico, le arti, da Lucera a Lucera

Dalla Rubrica "Per capire l’arte ci vuole una sedia" - Bee Magazine

Rubrica Floriana Conte
Floriana Conte

L’8 luglio 1977 a Lucera muore un avvocato che aveva messo da parte la professione di tradizione familiare esercitata in uno dei fori più prestigiosi del Meridione per intraprendere nel 1930, con testarda convinzione, il mestiere di bibliotecario dopo avere vinto un concorso. Tale radicale cambio di rotta nella vita di Giambattista Gifuni era stato preceduto da una avviata operosità di pubblicista e di cittadino attivo mai interrotta.

Gifuni pubblicò molti libri su questioni di storia patria e artistica (tra i quali Profili e scorci di storia, Napoli, Artigianelli, 1942; L’Arma di Lucera, Lucera, Catapano, 1973; a un anno dalla morte esce l’antologico La fortezza di Lucera e altri scritti, Lucera, Catapano, 1978, a cura di G. Trincucci, curatore anche di Gifuni, Saggi e memorie, Lucera, Catapano, 1992, e di Varietà di cultura storica, letteraria e civile, Lucera, Società di Storia Patria per la Puglia, 2008).

Gifuni scrisse saggi, recensioni, profili di uomini illustri (Giovanni Giolitti, Scipio Slataper, Guido Gozzano, Ferdinando Martini) e articoli che meriterebbero uno spoglio inventariale davvero completo, magari da riversare in un database che si rivelerebbe utile non solo per gli studi sulla Capitanata.

Gifuni pubblicò gli interventi da pubblicista su giornali locali ed extra regionali, dal “Il Foglietto” di Capitanata a “il Mattino” (dal 1970), da “La Voce” a “Il Nuovo Popolo di Capitanata”, da “Il Corriere padano” all’“Archivio storico pugliese” (dove si firmò con lo pseudonimo di Bibliothecarius) a “La Gazzetta di Puglia” (poi “La Gazzetta del Mezzogiorno”), sulla quale si firmò anche con lo pseudonimo di Mattia Bustini Faggi.

Quando Giambattista Gifuni muore, la Civica biblioteca di Lucera (dal 1935 intitolata a Ruggero Bonghi) risulta da lui arricchita da un patrimonio incrementato per tutto il suo mandato, il Museo civico Fiorelli ampliato e migliorato grazie alla sua direzione (dal 1935) e l’anfiteatro di epoca augustea di pianta ellittica con la cavea addossata a un pendio naturale noto a tutto il mondo, grazie anche all’impegno divulgativo di Gifuni.

L’anfiteatro di Lucera è tra i maggiori, per estensione, del mondo romano (simili per dimensioni sono gli impianti di Pozzuoli e di Italica, in Spagna). Negli anni Trenta del Novecento gli scavi ebbero un incremento, come in tutte le zone archeologiche d’Italia, secondo la linea, prediletta dal governo fascista, di scavo -a volte ossessivo- alla ricerca di nuove scoperte a discapito della tutela dell’esistente, antico e moderno (una linea di nuovo praticata dal governo di estrema destra odierno, pur se con forze scientifiche complessivamente meno prestigiose di quelle attive nel Ventennio e con esiti decisamente meno spettacolari, mentre le chiese e i musei di numerosi centri italiani cadono a pezzi o sono chiusi, nel disinteresse generale).

L’anfiteatro augusteo di Lucera ha ricevuto crescente attenzione anche per l’appassionato interessamento di Gifuni, che durante gli scavi ha coinvolto nei suoi studi i maggiori studiosi internazionali. Incremento decisivo all’esplorazione sistematica del monumento vennero tra 1935 e 1936 da uno dei più famosi archeologi del Novecento, Renato Bartoccini (aderente al fascismo, come molti altri famosi archeologi dell’epoca), che ordinò anche la sezione epigrafica del Museo civico di Lucera diretto dallo stesso Gifuni. Bartoccini ebbe parte indiretta nella nascita a Homs, in Libia, nel 1934, di uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, Mario Schifano: l’archeologo dirigeva uno scavo del cui gruppo di lavoro faceva parte il padre del futuro pittore, che fu sempre orgoglioso di ricordare tale sua ascendenza e che proprio come aiuto restauratore nel Museo etrusco di Villa Giulia cominciò a lavorare da ragazzo.

I contatti costanti con uno studioso di primo piano come Bartoccini non furono isolati nella biografia professionale di Gifuni, che intrattenne rapporti, diretti ed epistolari, con i maggiori professori, studiosi e funzionari in attività: quando si è scritto di Gifuni si sono soprattutto, e giustamente, messi in evidenza il suo rapporto con Benedetto Croce e l’impegno a favore della storicizzazione della figura di Antonio Salandra (cognato del padre in prime nozze; di Salandra Gifuni recuperò a Troia nella sua biblioteca anche un cospicuo archivio privato, pubblicando i volumi del Diario, i Retroscena di Versailles e il corposissimo Salandra inedito, che raccoglie i carteggi). Ma contatti con altre personalità della cultura in Italia meritano di essere riscoperti e, in futuro, meglio annessi alla biografia intellettuale di Gifuni.

Negli anni Trenta, mentre Bartoccini promuove la causa dell’anfiteatro augusteo, Gifuni si consulta anche con Francesco Ribezzo, glottologo di buona fama, nato a Francavilla Fontana. In un libro dedicato proprio a Ribezzo, nel quale Gifuni raccoglie i propri interventi sull’anfiteatro, Gifuni è orgoglioso di ricordare che al V Congresso di Studi Romani su Il Primissimo culto di Augusto, il professor Ribezzo ha messo in rilievo “la ripercussione profonda che nelle sfere degli studiosi di tutto il mondo, rappresentate nel Congresso, hanno avuto gli articoli del Gifuni”: si tratta di una citazione da un commento della Direzione della “Gazzetta del Mezzogiorno” del 2 luglio 1938 alla comunicazione fatta da Ribezzo al convegno (cito da Giambattista Gifuni, Una nota di Francesco Ribezzo e un commento della «Gazzetta del Mezzogiorno», in Id., Per il ricupero della “Lex lucerina” sui boschi sacri, Napoli, Tipografia Artigianelli, 1942, pp. 50-53: 52-53).

Consultando la copia del raro volumetto presso la biblioteca del Kunsthistorisches Institut a Firenze, ho constatato che si tratta di un omaggio di Gifuni alla più importante biblioteca di storia dell’arte d’Europa: nella seconda di copertina e nella carta di guardia ci sono rispettivamente il biglietto da visita dell’autore, nel quale si definisce «Avv. Dott. Giambattista Gifuni. Direttore della Biblioteca e del Museo Comunali. Lucera», e la conferma che si tratta di un omaggio dell’autore. Il dono mostra che lo studioso aveva bene presenti i luoghi principali deputati alla diffusione internazionale della lettura dei libri e dei saggi storico artistici (nel 1942 l’Istituto aveva sede in Palazzo Guadagni ed era diretto da Friedrich Kriegbaum, che adeguò le linee di ricerca alle direttive naziste e morì a Firenze sotto i bombardamenti del 25 settembre 1943).

Dell’“operosissimo soprintendente di Bari” Nello Tarchiani (già potente direttore degli Uffizi e della Galleria d’Arte moderna a Firenze e promotore di grandi mostre nelle quali ebbe parte anche Roberto Longhi) Gifuni registra con una certa commozione la morte e la sepoltura alla Certosa di Calci, riportando la definizione del critico e giornalista plenipotenziario del regime Ugo Ojetti che nel “Corriere della sera” dell’11 novembre 1941 aveva definito Tarchiani, collega e collaboratore in varie mostre, “uomo esemplare”. A conferma della ricercatezza delle sue frequentazioni scientifiche in ambito storico artistico, Gifuni scrive di Tarchiani:

“Non era un archeologo – conosceva, invece, profondamente la storia dell’Ottocento toscano – ma […] era dotato di “viva sensibilità per i problemi archeologici”; e ne può fare fede Lucera, memore del notevolissimo impulso dato dalla insonne operosità di lui allo scavo e al restauro dell’Anfiteatro; più di tutti, forse, ne possiamo far fede noi, che ricordiamo il cordiale assiduo operoso interessamento ond’egli confortò, nei due anni in cui stette a Bari, Soprintendente autorevolissimo e ascoltatissimo alle opere di antichità e d’arte per la Puglia, l’iniziativa – “di massima importanza civica” (son sue parole) – del ricupero della Lex [lucerina dell’anfiteatro augusteo]” (cito da Gifuni, Alla ricerca d’uno dei più pregevoli monumenti dell’Italia antica, già nel “Corriere Padano” del 23 aprile 1938, poi in Id.,  Per il ricupero, cit., pp. 30-37: 35 e nota 4).

I nomi di studiosi e intellettuali con i quali Gifuni fu in contatto almeno dal gennaio 1937 permettono anche di ricucire la mescolanza di origini e impegno dei maggiori intellettuali attivi in Italia durante il fascismo: il giornalista e scrittore “antifascista riluttante” Giovanni Ansaldo, nipote del noto industriale genovese; il direttore dell’Istituto archeologico tedesco di Roma Ludwig Curtius; il professore di Storia antica e rettore all’Università di Pavia, antifascista e socialista figlio di un falegname che lo aveva abbandonato, Plinio Fraccaro; il professore di archeologia nelle Università di Catania, Torino e Bologna Pericle Ducati (che esercitò funzioni di repubblichino presso il tribunale straordinario di Firenze, meritando di finire ferito a morte per le revolverate di due gappisti); il professore di Storia greca e romana all’Università di Padova Attilio Degrassi; l’arabista, figlio di un contadino di Calimera, che diventò bibliotecario dell’Accademia dei Lincei, Giuseppe Gabrieli; e poi “il noto commediografo e critico del “Giornale d’Italia””, l’abruzzese Luigi Antonelli, autore di celebri commedie come L’uomo che incontrò sé stesso Il maestro, quest’ultima considerata il suo capolavoro e messa in scena con la regia di Pirandello per la compagnia di Marta Abba il 18 dicembre 1933 al Teatro Argentina (l’elenco di nomi è in Gifuni, Una reminiscenza epigrafica virgiliana e un auspicato ritrovamento archeologico, in Id., Per il ricupero, cit., pp. 23-29: 27 e nota 1).

Con vera e propria sistematicità andrebbero meglio collocati nel dibattito scientifico non localistico anche i temi di storia dell’arte di rilevanza extra regionale riguardanti opere d’arte di Lucera a cui Gifuni dedicò attenzione: il crocifisso gotico doloroso nella cattedrale; il frammento di monumento funebre nello stesso duomo, che Gifuni descrive (Lucera, cit., 1937, p. 22) come la “statua giacente così detta del “Fondatore”, Carlo II d’Angiò (cappella Gallucci) – bella per calma severa di lineamenti e di forme”; la statua funebre in duomo, che secondo Gifuni (Lucera, 1934 e 1937, p. 23) è il gisant di Fabrizio Gallucci, “marchese di Apice”, fondatore nel XVI secolo della cappella di famiglia foderata di marmi smantellati tra 1878 e 1892, mentre il Cristo nel sepolcro quattrocentesco riemerge “solo qualche anno fa […] restaurato magistralmente da Riccardo De Bacci Venuti” (Gifuni, Lucera, 1937, pp. 25, 21).

Sempre in tema di scultura funebre, Gifuni (Lucera, 1937, pp. 23-24) attira presto l’attenzione anche su

“quella pietra tombale collocata in alto, accanto alla porta di destra del duomo, sulla cui attribuzione la fantasia popolare s’è finora sbizzarrita in congetture diverse, l’una più infondata dell’altra. (Così taluni vi han visto le sembianze di…Sansone, altri quelle di Pietro d’Agincourt ed altri ancora si son messi in testa che sia proprio l’effigie di “colui che tenne ambo le chiavi del cor di Federigo”: Pier delle Vigne; vecchia tradizione, quest’ultima, raccolta anche dal cronista Califani (sec. XVIII) che c’informa della diversa collocazione ch’ebbe, un tempo, quella pietra, confinata extra Ecclesia appunto perché vi sarebbe effigiato un damnatus. Ma non si tratta – stando alla foggia del vestito – se non d’un innocuo gentiluomo della fine del ’500, d’un letterato, probabilmente, – ha nella sinistra un libro – che non ha altra colpa, per dirla con l’arguto Bacchelli, se non quella d’avere una faccia brutta e maldisponente, da segnato da Dio: donde il proverbiale ribrezzo dei popolani per lui, presunto autore di chi sa quali malefatte”.

È da qualche anno entrato negli studi scientifici come opera del padre di Gian Lorenzo Bernini, Pietro, anche un altro monumento funebre del duomo, quello dei fratelli Giulio e Ascanio Mozzagrugno (1605), del quale Gifuni rilevò la qualità sostenuta nelle parti scultoree e la cronologia, definendolo dotato di “due bellissimi busti ed un notevole bassorilievo della Vergine (sec. XVII)” (Gifuni, Lucera, cit., 1937, p. 22. Mario Panarello ha stabilito l’attribuzione nell’articolo Modelli toscani nel meridione. Riflessioni attorno ad alcune opere di Pietro Bernini, Tommaso Montani e Giovan Domenico Monterosso, in “Esperide, Cultura artistica in Calabria. Storia, Documenti, Restauro”, IV, 1-2, 2011 [ma 2014], pp. 14-39; nel 2015 è uscito, indipendentemente, Fernando LoffredoShortly Before Rome: New Works by Pietro Bernini for the Mozzagrugno Monument in the Cathedral of Lucera, in “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, 78. Bd., H. ¾, 2015, pp. 488-497).

Non scontate appaiono certe attribuzioni, sorprendenti per uno studioso non addetto ai lavori. Gifuni concorda con Federico Spedaliere (Regio Ispettore onorario per i monumenti e gli scavi, autore di I dipinti e le chiese di Lucera, Portici [NA], Tipografia bodoniana, 1914, p. 8) che nel 1914 attribuisce al ferrarese Garofalo la pala d’altare dell’Assunta nel duomo. Nonostante l’opinione dei due, il dipinto spetta invece più probabilmente al napoletano Fabrizio Santafede. Andranno esaminate in dettaglio le ragioni dell’attribuzione infondata al Garofalo (che idea ne aveva Gifuni? Fotografica o appresa da visite dirette a opere del ferrarese?), dato che in un’altra occasione lo studioso dimostra buone conoscenze storico artistiche.

Grazie al libro di Gifuni su Lucera aggiornato nel 1937, entra ufficialmente nella bibliografia su Massimo Stanzione Il miracolo di Soriano, la pala con quattro figure nella terza cappella a destra della chiesa di San Domenico che Spedaliere assegnava erroneamente a Ferdinando Farino:

un ampio dipinto di Massimo Stanzione (sec. XVII) – Il miracolo dell’effige di S. Domenico in Soriano – nel quale cogliamo, specie nella espressione intensa e commovente del frate adorante l’immagine del taumaturgo castigliano, quegli accenti di viva pietà che distinguono le opere del Carracci (Annibale) e del Reni, ispiratori dello Stanzione (Gifuni, Lucera, 1937, cit., p. 29).

Con uguale correttezza, Gifuni (Lucera, 1937, p. 61) segnalò l’Addolorata “ricca di pathos” di Francesco de Mura nella chiesa del Carmine.

Della “chiesa più insigne che vanti Lucera dopo la cattedrale”, San Francesco, Gifuni lamenta, nel 1937, lo stato di degrado che egli contribuisce ad arginare:

Ma è deplorevole che per troppo tempo abbiano imperversato su S. Francesco le ingiurie degli uomini estranei all’arte, più gravi che non quelle del tempo (ad es., la parziale chiusura dei lunghi finestroni absidali; l’apertura su la scabra facciata di due indecorose…buche; la costruzione, che non doveva essere tollerata, d’una capsula a ridosso dell’abside, la quale s’intrude nei contrafforti di questo obliterando per metà uno dei finestroni donde, di conseguenza, più non si offre alla vista dell’officiante il fondo luminoso dell’ampio cielo, ma lo spettacolo profano, se non ignobile, d’una terrazza-stenditoio!). Perciò abbiamo ripetutamente invocato ampi, radicali restauri; e i nostri voti non sono, fortunatamente, caduti nel vuoto. Mentre scriviamo, infatti, sono in corso – diretti dalla R. Soprintendenza alle opere d’arte per le Puglia – seri lavori di rifacimento del tetto: il soffitto, forse, sarà sacrificato, ma ne guadagnerà, in agilità e imponenza, l’altissimo arco ogivale di cui s’è parlato (Gifuni, Lucera, cit., 1937, p. 28 nota 1).

L’attivismo di Gifuni per la tutela e per ciò che oggi si definisce “valorizzazione” del patrimonio pubblico appare anche indirettamente, attraverso i  lavori compilativi di eruditi che hanno provato a seguirne l’esempio. A proposito del Castello Svevo, nel 1971 don Vincenzo di Sabato (Storia ed arte nelle chiese e conventi di Lucera. Descrizione in prosa e in versi del patrimonio artistico religioso lucerino con l’aggiunta di brevi note di storia locale, Foggia, Stab. Tipolitografico Cav. Luigi Cappetta & F., 1971, pp.  23 nota 47, 188) registra l’effetto della sorveglianza attenta di Gifuni:

“Per interessamento del defunto Mario Prignano e di Giambattista Gifuni sono stati fatti e continuano a farsi dalla Sovrintendenza ai monumenti nazionali lavori per la conservazione statica delle mura meravigliosamente illuminate ogni sera da potenti lunghi tubi a neon”.

Una ricerca destinata a ricostruire il profilo intellettuale di Gifuni in relazione ai suoi interessi e ai suoi contatti storico artistici potrebbe passare anche attraverso la ricostruzione della sua biblioteca di settore, per capire quali libri di storia dell’arte possedeva lo studioso e in quali proporzioni si trattava di doni o di acquisti. Nei suoi lavori Gifuni cita le grandi opere di storia dell’arte disponibili all’epoca: la Storia dell’arte italiana nel Medioevo, I, Torino 1927, di Pietro Toesca, la Storia dell’arte italiana di Adolfo Venturi, III, Milano 1903; cita anche la Storia dell’arte italiana. Il Medioevo di E. Lavagnino (Torino 1936) e, verosimilmente legati alla storia federiciana di Lucera, due articoli sulle architetture federiciane in Puglia e un resoconto del proprio viaggio in Puglia del tedesco Paul Schubring, usciti rispettivamente in “Die Baukunst”, 1909 e nella “Rassegna pugliese”, 1901 (nella traduzione di Giuseppe Petraglione: Gifuni, Lucera, 1937, cit., menziona specificamente questi studi alle pp. 101, 106-107 del Saggio bibliografico).

Tra le fonti periegetiche abitualmente usate dagli storici dell’arte Gifuni si destreggiava come se avesse avuto sottomano Die Kunstliteratur (1924) del traduttore di Benedetto Croce, Julius von Schlosser: conosceva la Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti (Venezia 1551), la Breve descrittione del Regno di Napoli  di Ottavio Beltrano (Napoli 1646), e molte altre opere (pp. 95, 97).

Un profilo biografico di Gifuni, aggiornato specificamente ai suoi interessi storico artistici, sarebbe di sicuro interesse e riempirebbe dei vuoti bibliografici. Negli studi moderni di ambito locale/regionale che aspirano a una ricognizione storica d’insieme, gli scritti storico artistici di Gifuni non sono inclusi nel novero delle fonti e degli studi: mancano dall’introduzione riassuntiva di Elena Antonacci Sanpaolo, in forze alla Soprintendenza di Foggia nel 1999 quando pubblica Lucera. Topografia storica. Archeologia. Arte (Bari, Mario Adda Editore), in cui spiega “come nasce un libro su una città” (pp. XIII-XV), mettendo in serie fonti e studi da Polibio a Giuliano Volpe, ma non i lavori di Gifuni (tuttavia nello stesso libro, composto da saggi di vari autori, le bibliografie in calce a un paio di saggi attingono agli studi di Gifuni usciti nei volumi autonomi più  facilmente accessibili nelle biblioteche specializzate, mentre non vengono usati gli articoli usciti nei periodici).

L’impegno di Gifuni di bibliotecario e direttore di museo si unisce con naturalezza alla ardente attenzione per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio pubblico di Lucera attraverso, in primo luogo, la ricomposizione dei tasselli della sua storia e la volontà di tenere vivi per la comunità civile i monumenti storici, i musei, le chiese, le biblioteche, i teatri pubblici. In quest’ottica, gli studi di diritto, l’esercizio della professione di avvocato civilista e il costante monitoraggio del patrimonio pubblico (da quello archeologico a quello librario, da quello storico artistico a quello teatrale) sono legati vicendevolmente. Le vesti altrettanto costanti di Gifuni come studioso e critico di politica e storia, non solo meridionali e meridionaliste, incrementano la ricerca storico artistica mirata a sottrarre i monumenti pubblici di Lucera a un oblio dovuto alla collocazione periferica o all’(ancora vivissimo) pregiudizio antimeridionale.

Nella prima metà del Novecento l’Italia centro-meridionale ha goduto dell’impegno gratuito (nel senso che andava ben oltre le ore di lavoro richieste dai compensi percepiti) di studiosi come Gifuni, convinti che ciò che oggi si definisce superficialmente “valorizzazione” e “internazionalizzazione” del patrimonio pubblico passasse attraverso uno studio serissimo, i rapporti con altri studiosi e l’abbattimento degli steccati disciplinari. Così studiò e trasmise anche agli storici dell’arte la storia documentaria del suo amato Abruzzo, e in particolare di Pescocostanzo, Gaetano Sabatini, medico di professione e storico per passione, che provò perfino a difendere dai nazisti la propria biblioteca privata, ricca di manoscritti e libri preziosi (di essa, dell’archivio storico Sabatini e dell’utilità dello stesso anche per gli studi di storia dell’arte ho raccolto i frutti nel libro Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti nell’Italia del Seicento. I. Da Tanzio da Varallo a Massimo Stanzione, Edifir 2012 e, ora, in un saggio destinato alla rivista online di storia dell’arte “Predella”). Gaetano Sabatini passò al figlio Francesco l’etica del mestiere di storico inteso come impegno civile. Così Francesco Sabatini ha portato avanti fino a oggi, tra libri, contatti e divulgazione appassionata, la sua attività di professore universitario a Roma Tre e di presidente, prima effettivo e oggi onorario, dell’Accademia della Crusca.

Anche Giambattista Gifuni trasmise il senso etico dello studio della storia, civile ed artistica, del patrimonio pubblico come primaria forma di tutela e preservazione della memoria storica al figlio Gaetano, che ebbe una carriera di primissimo piano al servizio dello Stato, unendo l’interesse per il diritto e la politica a quello per i libri e per il teatro: durante gli studi a Roma il figlio di Giambattista Gifuni faceva parte della claque degli spettacoli per potervi assistere gratuitamente.

In Accademia d’arte drammatica “Silvio d’Amico” a Roma ha studiato, poi, uno dei figli di Gaetano e nipote di Giambattista Gifuni, Fabrizio, oggi tra i più brillanti e versatili artisti italiani noti anche all’estero, e quest’anno pluripremiato in numerosi contesti nazionali: in particolare, l’Accademia del Cinema Italiano gli ha assegnato il David di Donatello come migliore attore protagonista per la straordinaria interpretazione in Esterno notte di Marco Bellocchio.

Al lascito morale di Giambattista Gifuni, che credeva che i libri migliorassero la vita delle persone soprattutto in luoghi e condizioni di partenza difficili, è dedicato il Premio “Giambattista Gifuni per la diffusione del libro e della lettura”, istituito nel 2000 dalla Fondazione Nuove Proposte per la Diffusione del libro, presieduto dal nipote Giovanni, che ha ereditato pienamente il lascito intellettuale del nonno, diventando un esperto di biblioteconomia e lavorando come consigliere parlamentare presso la Biblioteca della Camera dei deputati. Giovanni Gifuni è l’anima del Premio assegnato annualmente a un esponente della cultura o delle istituzioni, mettendo a disposizione del premiato una cinquantina di volumi preferibilmente da destinare a istituzioni pubbliche o private non benedette dal facile accesso alla lettura (un carcere, un piccolo comune, i quartieri più compromessi delle città italiane).

Fabrizio Gifuni fa l’artista continuando l’impegno familiare di tutela e divulgazione della conoscenza del patrimonio pubblico materiale e immateriale, coniugando la conoscenza del diritto (ha seguito la tradizione di famiglia studiato giurisprudenza) alla scelta di recitare e leggere ad alta voce libri e di scrivere libri e interpretare spettacoli spesso legati a momenti decisivi della storia italiana.

Dal 2017 con la rassegna e la stagione teatrale “Primavera al Garibaldi” Fabrizio Gifuni, insieme a Natalia di Iorio, tiene accesi permanentemente i riflettori nazionali su Lucera grazie a un’iniziativa meritoria alla quale stanno partecipando molte forze del territorio (tra le quali si segnalano i fratelli Giada e Antonio Petrone, specializzati rispettivamente nell’archivistica contemporanea teatrale e visiva, che nella loro residenza “Le foglie d’acanto b & b e centro per le arti” organizzano mostre e incontri con personalità dell’arte e della cultura, poi resi disponibili sul canale YouTube del centro).

Gifuni cura con enorme profusione di energie un ciclo di rappresentazioni teatrali che si svolgono in primavera nello storico teatro Garibaldi (nelle cui attività Giambattista Gifuni fu magna pars e nel quale recitarono anche Eduardo Scarpetta e Guido Salvini, come ha ricordato lo stesso Gifuni durante una bellissima conversazione pubblica a Parco Città a Foggia giovedì 20 luglio) e in estate nell’anfiteatro augusteo.

Gifuni unisce all’organizzazione della rassegna (grazie alla quale sono arrivati nella regione meno graziata di tutte dalle manifestazioni artistiche di alto valore artisti attivi nei maggiori teatri italiani come Toni Servillo, Massimo Popolizio, Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Lino Musella, Sandro Lombardi, Sonia Bergamasco) un costante dinamismo a favore della conoscenza della storia e del territorio di Lucera attraverso l’arte, intesa non come svago ma come mezzo per illuminare la storia, la cultura, il senso civico di appartenenza, soprattutto a favore delle giovani generazioni.

Quest’estate Gifuni porta all’appuntamento estivo di “Primavera al Garibaldi” anche una lettura scenica che la collega Vanessa Scalera prepara appositamente per la sera dell’11 agosto. L’attrice pugliese, amatissima anche dal pubblico televisivo per i recenti ruoli di Filumena Marturano e Imma Tataranni, reciterà un adattamento da uno dei libri più innovativi del Novecento, i Sillabari di Goffredo Parise.

Per una storica dell’arte che insegna, come me, nell’università della Capitanata e che dei Sillabari in rapporto alla storia dell’arte si è occupata nel proprio ultimo libro (per il quale si veda dopo), l’occasione è invitante. Sono curiosa, infatti, di scoprire se Vanessa Scalera interpreterà la voce Eleganza: Parise la scrisse prima per il “Corriere della sera” (era a p. 3 mercoledì 26 luglio 1972) e poi la incluse nei Sillabari (ho riletto l’edizione Adelphi 2013, pp. 129-133: 129-130), ispirato da una visita dal sapore onirico compiuta una notte d’estate a casa di Mario Schifano e della sua compagna di allora, la principessa Nancy Ruspoli.

Parise ricorda di avere “rivisto” “in una grande villa al mare” “pochi giorni prima” di andare a casa di Schifano a Roma il “grande quadro suo” il cui “soggetto era la scatola dei ‘’baci’’ Perugina: un grande cielo blu tempestato di stelle e le silhouettes dei due amanti ottocento, abbracciati. Le stelle erano dipinte con uno smalto al fosforo e nell’oscurità mandavano luce come le lucciole” (probabilmente il pigmento giallo fluorescente era l’acrilico Lumen, che sicuramente Schifano usa almeno fino agli anni Settanta). Si tratta del grande quadro L’associazione e la proiezione dei ricordi, il cui titolo è rubato a un libro tradotto in italiano nel 1965, La fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty, il cui capitolo II contiene le espressioni “associazione” e “proiezione dei ricordi”.

Parise non scrive dov’era e di chi era la villa al mare: non sappiamo se si tratta di una villa di Luisa Spagnoli jr., la socialite umbra naturalizzata romana intellettuale, giornalista, tra i primi collezionisti di Schifano insieme a Giorgio e Mario Franchetti, sfortunata nipote dell’omonima nonna imprenditrice, la cui memoria è tramandata dall’azienda di abbigliamento femminile che porta il suo nome e dalla creazione dei cioccolatini Baci prodotti dalla Perugina. Gianni Barcelloni, amico di Schifano, ricorda che nel 1969 l’artista “stava dipingendo un quadro meraviglioso che chissà dov’è finito, ispirato ai Baci Perugina”: si tratta appunto di L’associazione e la proiezione dei ricordi, finito nella collezione di Marta Marzotto. Sarebbe infatti calzante con l’iconografia del quadro potere accertare che sia stato commissionato da Spagnoli e poi ceduto a Marta Marzotto, proprietaria della villa di Punta Volpe a Porto Rotondo dove Schifano e Parise erano spesso ospiti: nel 1974 la contessa Marzotto è infatti sicuramente la proprietaria del quadro, dato che lo presta al professor Arturo Carlo Quintavalle per la prima e unica mostra pubblica di Schifano organizzata da un’università, a Parma.

Nel 1994 il quadro era ancora nella “Collezione d’Arte Moderna Marta Marzotto” trasferita da Roma a Milano (sulla vicenda si veda l’articolo in questa rubrica dell’8 luglio 2022. Sull’amicizia di Schifano con Parise, responsabile anche della lettura di Schifano di Winnie-Puh l’orsetto nella traduzione per Garzanti a seguito della quale il pittore dipinge il capolavoro Io sono infantile, rinvio al mio libro Con lo Zingarelli sotto il braccio. I libri per Mario Schifano, Accademia dell’Arcadia 2022, gratuitamente scaricabile qui).

Ecco che, senza barriere disciplinari, tutto si tiene: l’archeologia, la storia dell’arte, i libri, la storia, la geografia, il teatro, Bartoccini che supportò l’impegno del nonno di Fabrizio Gifuni per l’anfiteatro lucerino e che diede lavoro al padre di Schifano, il quale a sua volta ispirò a Parise una delle voci più suadenti dei Sillabari che, grazie al nipote dell’avvocato bibliotecario Giambattista e di vari suoi concittadini, chi sarà all’anfiteatro augusteo il prossimo 11 agosto potrà ascoltare dalla voce e dal corpo di un’artista pugliese.

 

Floriana Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

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