Gli anni del fascismo in Capitanata

L'analisi del prof. Picciaredda, docente Unifg di Storia Contemporanea

Il fascismo in capitanata
Stefano Picciaredda

28 ottobre, cent’anni dalla marcia su Roma. Quella che, secondo l’opinione diffusa, ha portato il fascismo al potere. Non fu così. Quella di far presiedere il governo a Benito Mussolini fu una scelta consapevole e ponderata, compiuta dal re con l’avallo di esponenti di casa Savoia, dei suoi consiglieri militari, di frange della classe dirigente liberale. E avvenne nel rispetto della legalità statutaria: non fu un colpo di Stato ma una scommessa, un azzardo: servirsi del fascismo, di quello che appariva un uomo forte, per riportare ordine e stroncare definitivamente le velleità delle sinistre e le loro pretese ugualitarie. 

Le cose andarono diversamente. Quando si giustifica o si tollera la violenza – come accadde chiudendo gli occhi o favorendo gli attacchi dello squadrismo – le conseguenze sono imprevedibili. Iniziò un inesorabile smantellamento dello Stato liberaldemocratico e l’edificazione di uno Stato autoritario, poi totalitario (almeno nelle intenzioni) e imperiale. Ma cosa accadde a livello locale, e quali furono le caratteristiche del fascismo in Capitanata? 
È questa una domanda che ha un significativo valore storiografico, perché in provincia di Foggia gli eventi assunsero una peculiarità tutta speciale, con tratti caratteristici rispetto al resto del meridione d’Italia. La Capitanata fu infatti la regione del Sud che vide le maggiori affermazioni del Partito socialista, dopo la Grande Guerra. E tra le prime a veder sorgere i fasci di combattimento, dalle connotazioni spiccatamente aggressive e violente. A partire dal gruppo di Giuseppe Caradonna a Cerignola, protagonista della domenica di sangue del 1921: il 15 maggio, per evitare un’affermazione socialista alle elezioni politiche che si tenevano quel giorno, le bande fasciste attaccarono le famiglie contadine e bracciantili impedendo loro di recarsi ai seggi. Votarono solo il 30% degli aventi diritto, e Caradonna ottenne un plebiscito, contro Giuseppe Di Vittorio. Morirono quel giorno otto cerignolani, e decine furono i feriti. 

Ma il fascismo in Capitanata mostrò anche un altro volto, quello che Raffaele Colapietra ha definito – in maniera alquanto fuorviante – il “fascismo onesto”. Espressione dei nuovi ceti medi urbani, professionisti, tecnici, costruttori edili, come Gaetano Postiglione ed Alberto Perrone. A loro sono legati i due grandi progetti che avrebbero dovuto trasformare in profondità il volto della provincia e del suo capoluogo: la bonifica integrale e la “grande Foggia”. 
Durante il ventennio, nelle nostre terre, non difettò la progettualità, tradotta in proposte, piani sempre più particolareggiati, e in alcune realizzazioni. La più evidente, la costruzione di nuovi palazzi a Foggia: l’odierno comune, il palazzo degli studi, la prefettura, gli uffici pubblici, l’acquedotto. Ad essi doveva accompagnarsi la “ruralizzazione”, il trasferimento in borghi in campagna dei contadini che vivevano in città e più in generale delle classi più misere, non consone all’immagine del capoluogo rinnovato e “grande”. 

A tanti obiettivi corrisposero ahimè scarsi risultati. Il flop più vistoso riguarda la bonifica, tante volte annunciata e programmata e poi sempre rimandata, e scarsamente finanziata. Ha scritto Antonio Vitulli: «La Capitanata invero fu la provincia d’Italia in cui le iniziative di più profondo impegno del regime fascista, quali la battaglia del grano e la bonifica integrale assunsero il significato di una parola d’ordine estremamente impegnativa e qualificante e proprio in Capitanata esse ebbero il loro massimo banco di prova e il più eloquente sostanziale fallimento. I problemi di fondo rimasero persistenti e sarebbero tornati prepotentemente alla ribalta nel dopoguerra». 

Due visioni contrastanti sulle modalità di realizzazione della bonifica si scontrarono per almeno dieci anni, quella dei grandi proprietari e quella dei tecnici cittadini. Le sintesi trovate dai vari piani (Azimonti, Serpieri, Curato, Labadessa…) non riuscirono ad accontentare tutti e a imporsi, e a guerra iniziata la montagna partorì un topolino. Chi voglia approfondire può leggere il documentato, ma agile, saggio di Franco Mercurio, Costruire il paesaggio agrario, facilmente reperibile online in open access, che racconta anche le peripezie dei “fortunati” che furono “scelti” per popolare il nuovo Borgo La Serpe, oggi Mezzanone. 

Tra le opere realizzate in quel ventennio, si ricorda la tranvia Torremaggiore - San Severo, “vanto di Capitanata”, inaugurata nel 1925, e rimasta operativa fino al 1962. Un’ottima cosa, se non fosse che il viaggio inaugurale fu funestato da un clamoroso deragliamento. Se c’è un’immagine che può rappresentare plasticamente l’epoca fascista in Capitanata è forse proprio questa: una provincia destinata a grande futuro, deragliata per l’incapacità delle classi dirigenti di esercitare quell’autorevolezza che l’autoritarismo dello Stato non bastò a garantire. 
 

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