“Mona Lisa Smile”: la riscoperta grazie al CLA Unifg

La recensione di una studentessa Unifg

rassegna cla
Anna Fatima Amoroso *

REGRESSO CONSCIO
“La mia professoressa Katherine Watson vive secondo le proprie convinzioni e non accetta compromessi neanche per il college. Dedico questo mio ultimo articolo ad una donna straordinaria che ci è stata di esempio ed ha convinto tutte noi a vedere il mondo attraverso nuovi occhi. Quando leggerete questo mio scritto lei si sarà già imbarcata per l’Europa dove so che troverà nuove barriere da abbattere e nuove idee con cui rimpiazzarle.
Ho sentito dire che ha gettato la spugna per essersene andata, una girovaga senza meta, ma non tutti quelli che vagano sono senza meta, soprattutto non coloro che cercano la verità, oltre la tradizione, oltre la definizione, oltre l’apparenza.
Non la dimenticherò mai.”

Mona Lisa Smile 

Dopo una pausa dovuta ad impegni lavorativi, il 30 Settembre 2022 ho preso parte a un evento organizzato dal Cineclub, il quale ha fornito la possibilità di partecipare alla proiezione in modalità duale di un film che ho sempre voluto rivedere in età adulta: “Mona Lisa Smile”, diretto da Mike Newell. Uscito nell’anno 2003 e ambientato negli anni ’50, discute tematiche molto attuali; il Dottor Michele Russo, che ha introdotto la pellicola, ha spiegato quanto essa rifletta il tema dell’integrazione e , soprattutto, la negazione dei diritti delle donne. A primo impatto l’incipit del film può apparire abbastanza elementare: una giovanissima ragazza californiana di estrazione operaia (ma profondamente anticonformista) approdata come insegnare di storia dell’arte in uno dei più prestigiosi istituti femminili del Massachusetts: il Wellesley College, deputato all’ istruzione delle future consorti degli esponenti di punta della società dell’epoca.

Emergono però nella pellicola delle problematiche appartenenti ad una sfera comunitaria, che risulta essere specchio di quella attuale. Le idee quasi “eversive” della professoressa Watson, interpretata da una magnifica Julia Roberts, incontrano l’ostracismo della dirigenza dell’Istituto e inizialmente anche delle sue allieve, fanciulle snob. La mia analisi riflette sul fatto che il collegio altro non è che una polveriera: dietro la placida e signorile facciata perbenista, si nascondono intrecci di relazioni clandestine allieve- insegnanti, repressione mentale, impulsi emergenti e pronti a sgretolare le convenzioni del luogo. A tal proposito, mentre ero collegata da casa e sedevo alla mia scrivania, mi sono chiesta se queste donne fossero davvero felici, se mai qualcuna abbia sentito l’esigenza di andare oltre le apparenze. Come è possibile che fossero talmente assuefatte all’omologazione da non sentire una voglia di cambiamento? Perché dovevano ritenere di essere state programmate per essere mogli e madri? E soprattutto: come facevano queste stesse donne a pensare di essere libere? Arroccata nella mia riflessione, mentre il film andava avanti veloce e asciutto, quasi mi è venuto un colpo nell’apprendere non tanto che i contraccettivi fossero all’epoca illegali, quanto lo scandalo suscitato dall’uso consapevole di questi da parte di una allieva dell’Istituto. Lo spaccio del farmaco, posto in essere dall’infermiera del Collegio, aveva sollevato un’offesa alla morale senza precedenti, culminato con il licenziamento in tronco della stessa infermiera.

Anche in questo frangente il film ha offerto suo malgrado spunti di riflessione per quanto concerne l’America del 2022, la quale, tramite una sentenza, ha dichiarato addirittura illegale l’interruzione di gravidanza. Nell’alveo di un clima di inibizione e controllo estremo, Katharine Watson combatte quotidianamente contro lo scetticismo conservatore e omologante, profana il sacro programma degli insegnamenti inserendo all’interno delle sue lezioni tematiche estranee alle linee classiche per innescare un dibattito tra le sue allieve e allargare così i loro orizzonti mentali; cerca di sgretolare la stereotipizzazione mentale delle giovani alunne insegnando loro ad avere capacità decisionale, incoraggiandole a perseguire una carriera, ad essere indipendenti. E’ questo il punto cardine della pellicola: la creazione di una sorta di “coscienza critica femminile”; e a questa decisione della docente corrisponde la fiducia delle fanciulle. Nel tentativo dell’insegnante di incoraggiare la sua allieva più promettente a studiare Legge, nonostante all’epoca questa idea escludesse quella di essere una moglie e madre allo stesso tempo, ho purtroppo scorto un pilastro fallace della società odierna: l’irrealizzabilità della “doppia carriera” che vede la donna in qualità di madre e lavoratrice. Una pecca, questa, talmente palese e disumana che viene contestata quasi quotidianamente ma che non accenna ad essere arrestata.

L’ eterna tensione famiglia/ realizzazione professionale, utilizzata molto spesso come becero mezzo di propaganda, potrebbe essere superata se ci fossero mezzi di tutela giuridica che non fossero delle mere lettere vuote. A distanza di più di 70 anni dal periodo di ambientazione del film, abbiamo dimostrato ancora una volta di non saper apprendere le lezioni elementari che la storia ci impartisce giorno dopo giorno. La negazione pratica di diritti costituisce però solo la punta dell’iceberg di una sequenza aberrante di atti crudeli che vengono riservati a noi donne, il cui culmine è stato raggiunto in Iran dall’uccisione di Mahsa Amini, che a soli 22 anni  è stata uccisa perché secondo la "polizia morale" indossava male l'hijab. Dal 16 settembre, giorno in cui Mahsa è deceduta in ospedale, dove, (va detto) era arrivata già in stato gravissimo, tutte le donne del mondo hanno cominciato a cantare un vero e proprio canto della rivolta che si spera non perda vigore arrestandosi col passare del tempo. Nel 2022 è quantomeno inconcepibile morire in questa maniera, vedersi relegate solo ad un ruolo: madre/moglie oppure lavoratrice, proprio come nella pellicola. A gran voce consiglio la visione del film, così che possa far scaturire la fame di libertà in una società mai mutata; una libertà vera però.

“L’atto più coraggioso è continuare a pensare in modo autonomo. A voce alta.”
(Coco Chanel)

*studentessa di Scienze dell'Educazione e della Formazione - DISTUM Unifg