Le risorse del mare non sono infinite: l'importanza delle biotecnologie per preservarle

L'Unifg con il laboratorio STAR Facility center è attiva sul campo per trovare metodi alternativi di produzione a basso impatto ambientale: Manfredonia in prima linea nel progetto europeo B-Blue

mitili acquacoltura
ilaria di lascia

L’8 luglio di ogni anno si celebra la giornata mondiale del Mar Mediterraneo, istituita per accendere i riflettori sullo stato di salute del Mare Nostrum e sulle criticità che mettono a rischio le oltre 12mila specie marine che lo abitano e che costituiscono il 12% della biodiversità marina mondiale. Inquinamento, cambiamento climatico, sfruttamento ittico: le minacce derivano per la maggior parte dall’influenza delle attività dell’uomo. 

Diventa dunque fondamentale attivare processi che contribuiscano a preservare la qualità delle acque e a ridurre l’impatto antropico per riuscire ad invertire la tendenza nel minor tempo possibile. L’Università di Foggia è già impegnata in tal senso e con il laboratorio STAR Facility center è attiva sul campo per trovare metodi alternativi di produzione a basso impatto ambientale.

Le risorse marine non sono inesauribili, anzi, si attesta che la capacità del mare di auto rigenerarsi sia sempre più limitata. Le attenzioni dei ricercatori si concentrano, perciò, su nuovi metodi di produzione che possono servire a mitigare l’impatto ambientale creando una spirale virtuosa nella quale gli scarti di una fase di produzione vengono riciclati e servono da fattori di produzione per un’altra. Lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura è una di queste.

“Acquacoltura” significa letteralmente “coltura in acqua”, una definizione che comprende un’ampia gamma di attività produttive: dai molluschi alle alghe, dai pesci ai ricci, dalla produzione sulla costa o al largo, con sistemi di ricircolo, sistemi integrati o con sistemi di altro tipo, insomma con infinite possibilità. I metodi di produzione tradizionali (in particolare di mitili ed ostriche) sono oggi confrontati con sfide continue a causa del loro impatto ambientale o dell’uso di spazi costieri particolarmente ambiti pertanto, lo sviluppo di metodi di produzione alternativi, o complementari, diventa sempre più interessante, come ci ha illustrato il professor Matteo Francavilla, docente di Chimica Organica presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimenti, Risorse Naturali e Ingegneria e responsabile scientifico dello STAR Facility Center. Il laboratorio Unifg sviluppa processi estrattivi e/o di derivatizzazione ecocompatibili, basati sui principi della Green Chemistry, che permettono di ottenere dalla biomassa una serie di composti che contribuiranno ad aumentarne il valore commerciale. 

“L’acquacoltura multi trofica integrata (IMTA) spinge ancora più avanti questa logica, puntando sulle interazioni positive o simbiotiche tra diverse tipologie di acquacoltura di diverso livello trofico (che si nutrono cioè da diverse fonti alimentari) per creare una spirale produttiva virtuosa, migliorando così la sostenibilità dell’intero sistema. I tipi più comuni di IMTA integrano la piscicoltura con la produzione di molluschi (mitili, telline ecc.) e la coltivazione di alghe.

Le alghe stanno diventando sempre più popolari e possono essere utilizzate direttamente (ad esempio in insalata, nel sushi, ecc.), indirettamente (come integratore alimentare, gelificante, mangime per animali, ecc.) o come materia prima nel settore delle biotecnologie (nella cosmetica, come fertilizzanti o combustibili, per depurare le acque di scarico, ecc.).

Il potenziale innovativo delle alghe è praticamente illimitato. L’aumento di popolarità, e quindi della richiesta di mercato, implica che le alghe presenti in natura sempre più difficilmente saranno sufficienti a soddisfare la domanda mondiale, in termini sia quantitativi che qualitativi, e questo rappresenta una grande opportunità per l’acquacoltura.

Il mercato globale annuo è stato stimato a circa 10 miliardi di dollari (in aumento dai 5,5-6 del 2003), superando quello degli a noi più familiari limoni e lime, ed è dominato da cinque generi: Saccharina, Undaria, Porphyra, Eucheuma e Gracilaria. In molti paesi in via di sviluppo l’industria delle alghe è oggi la fonte di sostentamento di grandi fette di popolazione, spesso partendo da piccola scala, come attività di tipo familiare: la Cina tra tutti produce la metà delle alghe oggi sul mercato, quasi 13 milioni di tonnellate, seguita dall’Indonesia con 6,5 milioni di tonnellate (27% della produzione globale) e ancora dalla Corea del Sud e dalle Filippine, dove secondo il The Bureau of Fisheries and Aquatic Resources sono almeno 12000 gli agricoltori che le coltivano.

L’industria delle alghe, se regolamentata, è davvero un’ottima opportunità. Essa contribuisce indirettamente a ridurre l’over-fishing in molte regioni, fornendo una valida alternativa alle popolazioni che vivono sulla costa. In alcuni casi, questa nuova possibilità di lavoro ha permesso alle donne di diventare economicamente attive per la prima volta. In Cile, dove secondo i dati Food and Agriculture Organization (FAO) il 47% della popolazione rurale è sotto la soglia di povertà e 34 milioni di persone vivono nell’insicurezza alimentare, il mercato delle alghe dà lavoro a circa 30000 persone, gran parte delle quali sono donne.

Oltre l’80% della produzione di macro-alghe del pianeta, infatti, è proprio destinata al consumo alimentare. Quello che resta diventa un additivo per i mangimi animali o viene usato come fertilizzante, o viene impiegato in ambito medico oppure biotecnologico. L’agar, gli alginati e carraginani, polisaccaridi ampiamente presenti nelle pareti cellulari delle alghe rosse e brune, sono usati come addensanti e stabilizzanti nell’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica.

E per chiudere il cerchio della sostenibilità è importante sottolineare che assorbendo anidride carbonica e nutrienti (cataboliti) dall’acqua, e producendo ossigeno, le alghe creano un microambiente perfetto per piccoli pesci e crostacei. Pertanto, la coltivazione di macroalghe contribuisce a ridurre il fenomeno della eutrofizzazione e ad aumentare la biodiversità nelle aree costiere”.

L’Università di Foggia con le attività dello STAR*Facility Centre, l’hub tecnologico afferente al Dipartimento DAFNE, supporta le aziende che intendono innovarsi approcciandosi al concetto di BioEconomia Circolare e BioRaffineria. È partito da poco il progetto Europeo B-Blue, finanziato dall'Interreg MED Programme, che si svilupperà presso il Consorzio Gargano Pesca del Golfo di Manfredonia.

Il progetto è coordinato da ENEA e coinvolge partner nazionali (CNR, Regione Puglia, Università di Foggia e Università Federico II di Napoli) ed internazionali (Slovenia, Croazia, Montenegro, Grecia, Francia, Spagna e Portogallo). Nell’ambito del progetto B-BLUE lo STAR*Facility Centre svolgerà un ruolo strategico nella realizzazione dell’attività 4.3“Territorial&transnational actions for the Blue Biotechnology HUB Innovation Community” coordinata dal CNR IRBIM, che prevede l’implementazione di una serie di attività pilota volte a rispondere ai bisogni di innovazione identificati nell’ambito delle catene di valore (valorizzazione degli scarti dell'acquacoltura e produzione di alghe per composti ad alto valore aggiunto) selezionate dal Blue Biotechnologies Hub Italy ovvero, nello specifico, la realizzazione di un demonstration site, nel Golfo di Manfredonia, per la condivisione di interventi sperimentali per la conversione di materiali di scarto dalla produzione di bivalvi e macro-alghe, provenienti da sistemi di Acquacoltura Multi-Trofica Integrata (IMTA) in composti ad alto valore aggiunto per l’applicazione nei settori delle biotecnologie, degli alimenti, dei mangimi e dell'agricoltura.

 

Si ringrazia il prof. Matteo Francavilla per il contributo scientifico