Un nuovo cantiere si è aperto in città. Serve a colmare una lacuna: Foggia manca di un’autobiografia. Per una città, come per una persona, è difficile pensarsi e progettare il futuro senza avere consapevolezza di chi si è e da dove si viene. L’identità personale e comune non è un fatto scontato e automatico che deriva dal mero fatto di esistere: necessita di conoscenza e comprensione delle proprie radici.
La Seconda guerra mondiale è per Foggia – questo è noto a tutti – un trauma devastante. Almeno la metà degli alloggi sono distrutti o inagibili, migliaia di persone (anche su questo è in corso un ripensamento, uno studio più attento per valutare con maggiore precisione il numero e l’identità delle vittime, essendo evidente che la cifra di ventimila, lanciata un poco frettolosamente subito dopo il conflitto, non è realistica) hanno perso la vita. L’emergenza abitativa rappresenta per decenni la priorità. Il capoluogo dauno presenta il valore più alto di abitanti per vano dell’intero paese. Significa sovraffollamento, condizioni di vita precarie, alloggi di fortuna, occupazione delle grotte. Ripartire significa anzitutto edificare.
Ma la ricostruzione che si apre nel 1946 abbraccia tutti i campi: la politica, l’amministrazione, l’economia, il commercio, il rapporto con il territorio, la cultura, lo spirito. Dimensioni che si intrecciano e che insieme trasformano e ricompongono la tela complessa di una città moderna, forgiando un’identità composita e peculiare, tra novità e continuità, specificità locali e recezione di processi più ampi.
Nell’ottobre del 2021 il Dipartimento di Studi Umanistici, attraverso chi scrive e con il prezioso contributo di Saverio Russo, ha lanciato un appello alla città per coinvolgere forze antiche e nuove in uno sforzo di ricostruzione delle vicende di Foggia nella “prima Repubblica”, 1946-1992. Hanno risposto in tanti, studiosi, urbanisti, politici, intellettuali, storici, testimoni, giovani ricercatori, giornalisti, scrittori. Ci si è messi al lavoro per reperire fonti note ed inedite e cominciare a sbozzare i caratteri di questa storia, da molti punti di vista. I primi risultati – relativi agli anni 1946-66 – sono stati presentati nel Convegno svoltosi nell’Aula magna “Giovanni Cipriani” di via Arpi, martedì 17 maggio, grazie anche al contributo della Fondazione Monti Uniti.
Si è ripercorso un ventennio intenso, drammatico e affascinante. La radicalità delle lotte politiche e per il lavoro, le emergenze sociali, le scelte urbanistiche destinate a lasciare il segno, la progettualità, i ricchi fermenti culturali.
Le ricerche saranno pubblicate nell’anno in corso, per poi concentrarsi sugli anni successivi. Per la metà di ottobre, invece, è in preparazione un Convegno sulla Capitanata durante il fascismo.
Non si parte da zero, questo è certo. Tanti studi – che non cito per brevità e perché farei torto a quelli che senz’altro ometterei – hanno già visto la luce e sono una fondamentale base di partenza. Quello che manca è una visione di insieme, una ricostruzione unitaria, che divenga anche il tentativo di individuare punti di svolta, passaggi decisivi, criticità, andando oltre la cronostoria, l’elencazione, o la presentazione un poco agiografica dei “personaggi illustri”, che per fortuna non mancano in questa storia. Come Marc Bloch ci ha insegnato, del resto, la storia non è un tribunale, né di giudizio né di canonizzazione, ma uno strumento per comprendere. E fa piacere che in tanti, in maniera del tutto gratuita, abbiano accettato volentieri di lavorare a questo fine, e che l’Ateneo sia il luogo di accoglienza e di sintesi di questo tentativo e di questo cantiere. Faremo di tutto perché i lavori procedano spediti e consegnino alla città, al termine, uno strumento utile per conoscersi e ripensarsi.