Il pomodoro pelato è pugliese, lo dice la scienza. Prosegue unanime e da più parti la levata di scudi contro la richiesta di riconoscimento Igp (Indicazione Geografica protetta) del pomodoro pelato di Napoli, già valutato positivamente dal Ministero con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 13 marzo. La Coldiretti di Foggia, dopo la nascita del Comitato promotore della Dop (Denominazione di Origine Protetta) ‘Pomodoro di Puglia’, ha commissionato all’Università di Foggia uno studio che avvalori, dati alla mano, il netto diniego a vedersi sottrarre dalla vicina Campania la paternità dell’oro rosso pugliese.
La Puglia detiene la quasi totalità della produzione del pomodoro all’interno di una filiera del Sud Italia. Secondo i dati Istat (2020) in Puglia sono stati prodotti 15.527.500 quintali di pomodoro da industria su una superficie di 17.170 ettari, mentre in Campania 2.490.080 quintali su una superficie di 3.976 ettari. É quanto si legge nello studio condotto dal gruppo di lavoro dell’Università di Foggia, coordinato dal professor Antonio Stasi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimenti, Risorse Naturali e Ingegneria.
La provincia di Foggia è leader indiscussa del mercato e rappresenta il maggiore bacino di produzione nazionale con una superficie media annua di 15.000 ettari e con una produzione di pomodoro da industria che si aggira intorno ai 14.250.000 quintali (1,4 milioni di tonnellate).
Con il termine “Pomodoro pelato di Napoli”, come riportato nell’art. 2 del disciplinare, viene difatti identificato con una conserva di pomodoro indifferenziata dal punto di vista commerciale, senza alcuna specificità territoriale. Da qui l’assunto dello studio sul quale insiste anche Coldiretti: “Il processo industriale che consente l’ottenimento di un prodotto con suddette caratteristiche, di fatto, può avvenire in qualsiasi stabilimento di trasformazione e non corrisponde a una qualità premium che può essere facilmente identificata dal consumatore finale, né riconducibile a una specifica area geografica”.
Inoltre, la materia prima potrebbe provenire da qualsiasi area, definendo nell’art.5 del disciplinare solamente i tempi di stoccaggio massimi, e la qualità del pomodoro in entrata non è identificata da parametri qualitativi più restrittivi che consentano al prodotto finale di avere proprietà organolettiche caratterizzanti, inserendo come unico elemento “la coltivazione seguendo i metodi di lotta integrata o biologica”.
“Nell’art. 3, il disciplinare identifica come area di produzione le Regioni quali Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia. Viste le statistiche delle produzioni, il ‘Pomodoro pelato di Napoli IGP’ includerebbe conserve il cui pomodoro è prodotto per il 90% dei casi nella Regione Puglia, area in cui il pomodoro da industria destinato alla trasformazione in pelati assume la caratteristica colorazione rossa, a differenza di altri luoghi di produzione, a causa di specifiche caratteristiche pedoclimatiche”, si sottolinea nello studio Unifg.
Nelle indicazioni geografiche l’informazione sulla provenienza geografica costituisce l’elemento fondamentale che consente ai consumatori di identificarli e distinguerli da prodotti concorrenti di diversa area di produzione.
“Il disciplinare in discussione, utilizzando il nome prescelto, assegna il legame, quindi il meccanismo di identificazione dell’IG esclusivamente con la città di Napoli. Nel caso in questione - illustra lo studio - la possibilità di identificare con “Napoli” un pomodoro prodotto nella maggior parte dei casi in aree diverse e appartenenti ad altre regioni italiane risulterebbe fuorviante per i consumatori. Come ulteriore conseguenza, la presenza di una IG che porti il nome “Napoli” che già insiste sui pomodori Pugliesi, di fatto, sarebbe fin troppo ingombrante per lo sviluppo di azioni di valorizzazione del prodotto made in Puglia, sebbene la regione porti sul mercato il 90% della produzione primaria”.