Lytton è una cittadina del Canada, nella Columbia britannica, poco a nord di Vancouver. Era, perché da due settimane non esiste più. Gli abitanti hanno visto aumentare la temperatura fino a 49,6 gradi centigradi, poi si è sviluppato un incendio che nel giro di poche ore ha distrutto il 90% degli edifici. Una cupola bollente proveniente dal Pacifico si è incuneata ed è rimasta bloccata tra verdi e lussureggianti valli che mai avevano assistito ad un simile fenomeno. Si è innescata una reazione a catena: calore del suolo, foreste secche e inaridite, fuoco, pirocumulonembi (fronti temporaleschi formati da fumo, cenere e vapore acqueo), fulmini, e così ancora altro fuoco e altri incendi.
Due persone sono morte. Ma almeno 791, in meno di una settimana, sono state uccise dall’ondata di calore nella regione. Il problema? Semplice: la latitudine di Lytton è 50 gradi a nord dell’equatore. La stessa di Londra, del Belgio, di Francoforte, Praga, Cracovia… Lytton non è (era) un villaggio del grande Sud del mondo, ma un luogo da cartolina dell’emisfero settentrionale, appartenente ad un paese attento e rispettoso della sostenibilità ambientale.
Il caso ha fatto notizia, ma non troppo. Eppure Lytton è l’ennesimo grido di disperazione lanciato da un pianeta malato. Configura uno scenario angosciante: l’aria che viene a mancare, il calore rovente che non lascia scampo, laddove non te lo aspetteresti. L’incendio è stato probabilmente causato dall’uomo, ma anche la heat dome, la cupola di calore, è frutto del climatechange prodotto dall’inquinamento globale, con buona pace di negazionisti e scettici.
Impressiona il divario tra la velocità di sviluppo della patologia planetaria e la lentezza delle azioni e dei piani adottati per porvi rimedio. Quali atteggiamenti del nostro quotidiano dobbiamo modificare dopo Lytton? Chi di noi ha cambiato qualcosa del proprio agire e del proprio consumare dopo avere ascoltato questa notizia? Lo chiedo anzitutto a me stesso. Bisogna interrogarsi, bisogna cambiare. È il momento giusto, quello della ripartenza e della resilienza. Quante volte ci siamo detti, nel lockdown, che non avremmo mai dovuto ricominciare come prima?
Foggia è sensibile al tema, perché ne sa qualcosa. Detiene il record italiano ed europeo di calore (Sicilia esclusa): il 25 giugno 2007 il termometro toccò i 47 gradi. Ricordo bene quel giorno. Lytton ci riguarda. E il problema è complesso. Puntare tutto sull’elettrico, per esempio, ha controindicazioni, come ha spiegato Francesco Gesualdi su Avvenire l’8 luglio: la mobilità elettrica necessita di minerali – rame, litio, cobalto, nichel – la cui disponibilità è limitata e che a loro volta necessitano di grandi quantità di energia e di acqua per essere trasformati. Governi e istituzioni debbono fare il loro, certo. Ma dobbiamo fare qualcosa, tutti. Perciò, per favore, parliamone, parlatene, ora che ripopoliamo i nostri Dipartimenti e torniamo ad incontrarci. Cerchiamo risposte, cerchiamo strade: come ha ammonito papa Francesco, nessuno può pensare di restare sano in un pianeta malato.
*docente di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici