L’attualità di Dante e dei classici si manifesta nella misura in cui questi ci mostrano con quanta energia sono riusciti ad affrontare i problemi del loro tempo. Questa è la lezione che viene dal passato ed ecco perché, secondo Massimo Cacciari, è necessario analizzare le vicende trattate nel contesto della loro epoca. Il filosofo ha illustrato il Dante profeta, consapevole della propria grandezza che non è mai superbia, e nella sua lectio magistralis ha analizzato i tribolati anni del Trecento. "Si tratta di un momento in cui l’orizzonte politico medievale è in grande fermento, in cui nascono nuove idee di libertà e autonomia, la Chiesa si trova in un momento di crisi e Dante cerca di interpretare la sua epoca provvidenzialmente”. Ed ecco che, grazie alla forza espressiva di Cacciari, la dicotomia tra Chiesa e Impero, che in Dante sussistono necessariamente l’uno per l’altro, ossia quei “due soli che illuminano insieme”; la dimensione politica in crisi; la necessità di una riforma religiosa nel solco del frate francescano di Assisi che predica la povertà del Cristo; la ricerca del fine ultimo dell’agire politico, che Dante identifica nel Paradiso Terrestre, possono apparirci suggestioni attuali ma sono in realtà eco di un’epoca lontana da cui, però, riusciamo a scorgere nette similitudini con i nostri tempi.
La poesia di Dante conserva la dignità del messaggio profetico. “È questa rivendicazione del messaggio poetico che fa di Dante un unicum nel suo tempo”, sostiene Cacciari: “La profezia di Dante ha due dimensioni: religiosa e politica. La Chiesa va riportata alla sua forma originaria, quella del Vangelo. E il perno della profezia religiosa dantesca è Francesco d'Assisi. Francesco è il vero imitatore del Cristo e la riforma religiosa va tutta improntata al modello francescano. Le invettive feroci, le passioni dei santi che esplodono nell’Empireo dantesco ne sono una prova. La dimensione politica è in crisi perché tra i popoli cristiani è esploso il dissidio, non si riconoscono più in un unico corpo. L’Impero di Dante è un'aquila formata da molti occhi, una pluralità di nazioni cristiane che combattono tra loro senza più guida. Questa crisi dell’unità imperiale è il venir meno della identità romana che manteneva la sua pluralità formata da più lingue, culture, tradizioni. A Roma, anche il cittadino che viveva ai confini più remoti dell’Impero diveniva civis romanus. Dante chiama Cristo stesso civis romanus, cittadino romano nato provvidenzialmente proprio all’inizio dell’Impero. Il profeta Dante, dunque, denuncia una Chiesa che non è riformata, che ha dimenticato il suo ruolo. Al tempo stesso i poteri politici sono lontani dall’idea di riforma. È tutto un allontanarsi dalla vera prospettiva escatologica che la cristianità dovrebbe assumere. Il potere politico? La sua missione suprema per Dante è arrivare al Paradiso terrestre. Solo l’impero ha il potere di svolgere questa missione suprema, quella di creare un ordine politico terrestre umano che realizza il fine ultimo: una convivenza tra gli uomini determinata dal desiderio di ognuno di volere il bene dell’altro, in cui è bandita ogni invidia. La grandiosità di questo disegno può apparire inattuale, ma Dante ci interroga proprio su questo”, – spiega Cacciari - “L'agire politico ha una causa finale? Per il poeta non può non esserci. Nel De Monarchia questo grandioso disegno è chiarissimo ed è lontano dalla filosofia politica che già all'epoca di Dante inizia a offuscarsi. Nasce, infatti, la concezione di stato moderno che contrasta con l’idea di Impero. Difficile ritrovare gli stessi toni nel Paradiso, in cui le tesi si presentano come naturale evoluzione del pensiero dantesco. Dante, ormai deluso nelle sue attese che venga il Veltro e cacci i lupi rapaci, pensa che ormai anche la stessa realizzazione dell’Impero sia raggiungibile soltanto attraverso la grazia e la conversione”.