Negli anni Settanta erano i cantautori come Guccini, Gaber e De Gregori ad accendere gli animi e i riflettori sui temi sociali. Oggi, con i social, gli influencer diventano i nuovi intellettuali? Nei giorni scorsi Fedez e Chiara Ferragni attraverso il loro profilo Instagram hanno invitato i propri follower a chiedere a gran voce che venisse calendarizzato il disegno di legge Zan, fermo al Senato ormai dal mese di novembre. I social non vengono più percepiti solo come una vetrina per i cosiddetti influencer, ma anche un mezzo per coinvolgere le nuove generazioni, notoriamente poco inclini a interessarsi di questioni politiche, nell’acquisizione di diritti civili.
Il nuovo ruolo assunto dai Creator, creatori di contenuti per la rete e figure di riferimento per i giovanissimi era già parso evidente dopo la nascita dei movimenti “Fridays for Future”, per la salvaguardia dell’ambiente, guidati da Greta Thunberg. Sempre la rete è insorta contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd e attraverso la rete, durante il primo lockdown, personaggi pubblici invitavano a “restare a casa” e, di nuovo i Ferragnez, sfruttando la loro popolarità, hanno avviato una raccolta fondi che ha permesso di implementare la terapia intensiva del San Raffaele di Milano. Ed ecco che, se è ormai assodato che la politica debba fare necessariamente i conti con nuovi mezzi di comunicazione e nuove piazze virtuali offerte dai social, la novità risiede in un sostanziale cambio di prospettiva e di fruitori: la generazione Z. I nativi digitali, nati con uno smartphone in mano, da oggi scoprono di poter veder crescere e far valere le proprie idee grazie allo stesso mezzo con cui si scattano selfie e girano stories e reel su Instagram e TikTok.
Sull’inedito ruolo assunto dai social per la promozione di battaglie civili e gli innegabili rischi di una semplificazione indotta dall’uso della rete, abbiamo sentito il professor Gianfranco Pecchinenda, Professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Federico II di Napoli.
“È ormai indiscutibile la centralità e l’effettiva importanza dei social nel dibattito pubblico, indipendentemente da ogni giudizio di valore. Bisogna, però, provare a sforzarsi di guardare non solo allo strumento ma anche a chi lo usa e al modo in cui lo fa” - rileva il professor Pecchinenda. “È una questione di interpretazione. Nello specifico, o si guarda alla rete presupponendo una sorta di ingenuità di chi utilizza lo strumento, oppure bisogna scorgervi un deliberato uso politico. Non è la prima volta che i giovani intervengono utilizzando attivamente il nuovo strumento. In Italia abbiamo già evidente dimostrazione di questo, un caso di cui abbiamo primogenitura mondiale, con un Movimento nato dalla rete che è diventato un partito politico. Una cosa che sappiamo con certezza – prosegue Pecchinenda - è che i media, sempre parlando di utilizzo politico del mezzo, hanno una straordinaria potenzialità che però si manifesta tanto meglio quanto più polarizza il dibattito, quando cioè lo semplifica generando due estremi.
Nell’episodio in esame viene a crearsi appunto una visione dicotomica: o sei con me o contro di me. E questo è terribilmente grave, per quanto mi riguarda, perché la rete diviene una arena che fomenta le polarizzazioni e quindi l’odio. È questo il rischio, a mio avviso inconsapevole, di operazioni come quella fatta da Fedez. Sicuramente il cantante non voleva dare visibilità a un senatore che ha quel tipo di orientamento politico, però di fatto è successo. E se da una parte voglio che passi in Parlamento la legge, dall’altro ottengo una spaccatura nel mondo adolescenziale a cui mi rivolgo. Ed è uno dei tanti rischi legato all’uso inconsapevole degli strumenti. Chi studia questo genere di dinamiche sa che una delle questioni più critiche è proprio quella delle conseguenze intenzionali delle attese. Dico una cosa per ottenere A ma intanto ottengo B, C, D. Cominciamo solo ora ad avere dati di tipo scientifico su come funziona la circolazione dei messaggi intenzionali in rete, e cioè in modo completamente diverso rispetto al libro e alla televisione a cui eravamo già abituati. Mentre noi ci preoccupiamo dello strumento, è importante anche chiedersi chi può accedervi. Chi sono questi giovani, come sono stati formati. Altrimenti rischiano di essere vittime inconsapevoli di un uso demagogico che si fa della rete. Da un punto di visto teorico, la presenza attiva dei giovani nel dibattito politico su internet è un grande passo avanti che, però, soprattutto nelle fasi iniziali, può portare a rischi non prevedibili. Gli stessi rischi possono essere attutiti da parte degli esperti quanto più cresce la consapevolezza, politica e collettiva, della necessità di una formazione all’uso dei nuovi media. Bisognerebbe riflettere e formare a un utilizzo consapevole e critico della rete e promuovere una cultura della tecnologia che, spesso, nel nostro Paese è sottostimata”.