L'attuale situazione politica d'Oltremanica nell'analisi del docente di Storia Contemporanea
Non è un vezzo da storici introdurre qualche osservazione sul Regno Unito di oggi ricordando che cento anni fa Londra era a capo di un impero globale, che controllava direttamente il 20% delle terre emerse e un quarto della popolazione mondiale. L’UK non sarà mai una nazione come le altre, né riuscirà mai a concepirsi come tale. Quell’impero non esiste più, sostituito dalla Global Britain, con la sua rete di relazioni e interessi e le sue cento e più basi militari sparse nel globo (solo gli Usa ne hanno di più, non la Cina, l’India, la Russia…). Ma la vocazione imperiale riprende corpo, e potrebbe trasformarsi in una trappola pericolosa.
Londra invade i nostri notiziari almeno da sei anni. Con il feuilleton della Brexit, tra campagna referendaria, voto, trattative, rinvii, paure, frontiere chiuse e ammassi di tir in coda. Con le vicende della casa reale, tra lutti, scandali, pagine chiare e pagine scure, e una capacità di fascinazione globale che non si appanna. Da ultimo, con i successi della campagna vaccinale, che tanta invidia (sbagliata: non tiene conto degli azzardi e dei 99 giorni di lockdown duro protrattisi fino al 13 aprile) ha suscitato dalle nostre parti. Comunque sia, Londra ci interessa. È la settima città italiana, con circa 400.000 nostri connazionali che lì abitano e lavorano. Un flusso che continua anche dopo Brexit, il grande abbaglio.
Ricordate? Un voto – quello del referendum vinto dal Leave nel giugno 2016 – che ha spaccato il Regno. Europeisti i londinesi, gli scozzesi, i nordirlandesi. Propensi all’uscita inglesi e gallesi. Ammaliati dalla ossessiva campagna di Nigel Farage e del suo Ukip, che prometteva dopo l’uscita un sistema sanitario pubblico superefficiente, risanato con iniezioni settimanali di 350 milioni di sterline, quelle elargite all’Unione europea. Candidamente, Farage avrebbe confessato dopo il voto di avere sbagliato (rectius: falsato) i conti. Una storia sporca, con la propaganda anti stranieri (italiani compresi) e anti invasione, e l’intervento surrettizio,dai contorni ancora oscuri,di Cambridge Analytica nei profili facebook dei britannici.
L’addio all’Europa e il buongiorno al mondo potrebbe significare per il Regno l’inizio della fine, la dis-unione. La questione irlandese si è riaperta. Belfast si trova oggi in una situazione paradossale: è rimasta nel mercato comune europeo, ha frontiere aperte con l’Irlanda (che pure è un altro Stato), ma dogane e barriere nei commerci con il resto del Regno (di cui fa parte!). Non appena numericamente maggioritari rispetto ai protestanti, come previsto dagli accordi del “venerdì santo”, i cattolici nordirlandesi potranno chiedere il referendum per la riunificazione con Dublino. E aumenta, anzi è prevalente, secondo i sondaggi, la volontà autonomista degli scozzesi, che vorrebbero ripetere il referendum del 2014 (consultivo), in cui gli unionisti ottennero il 55%. Riuscirà la nuova politica inglese di proiezione globale, attuata peraltro attraverso ingenti investimenti negli armamenti, a convincere le varie anime del Regno a rimanere insieme? Di certo vi è che, al momento, la scommessa dei conservatori inglesi, convinti che il permanere nell’Unione stesse disgregando il Regno e l’uscita l’avrebbe consolidato, si sta rivelando perdente.
*docente di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici