La festa del voto, il 2 giugno della Capitanata

Quel 2 giugno del '46 la Capitanata si rivelò la provincia più repubblicana del Meridione d'Italia

referendum 2 giugno
Stefano Picciaredda*
1 giugno 2021

91%. È la percentuale di abitanti della provincia di Foggia che si recarono alle urne il 2 giugno del 1946. Una festa del voto e della partecipazione. Nella maggior parte dei comuni un appuntamento elettorale, non fittizio e finalmente aperto alle donne, si era già avuto per le amministrative di primavera. Ma a Foggia erano 27 anni che non si votava liberamente, e la posta in gioco era altissima. Duplice: l’elezione degli uomini (nessuna donna sarebbe ahimé stata eletta in Puglia) chiamati a disegnare l’architettura della nuova Italia democratica e la scelta sulla forma di Stato. Repubblica è un termine a noi caro e familiare, ma allora i precedenti erano limitati, talvolta poco felici (Weimar, la Terza Repubblica francese…) e il cambiamento veniva dipinto dai monarchici come un salto nel buio. Due foggiani su tre ebbero paura di questa avventura e votarono per i Savoia. In città, del resto, esercitava ancora una pesante influenza l’Amgot, l’autorità alleata, che sosteneva la monarchia.

In controtendenza con il capoluogo, la Capitanata si rivelò la provincia più repubblicana del Meridione d’Italia (46%). Si fece sentire la tradizione comunista e socialista: i due partiti insieme – altra peculiarità del territorio rispetto al resto del Sud–ottennero il 40,3% dei suffragi e superarono la Dc, primo partito con il 33.9%.

Ma torniamo a quel giorno. La situazione era tesa: la città distrutta dai bombardamenti, il cibo ancora scarso. Il mercato nero, il contrabbando, il dissidio tra agrari e braccianti avevano portato a scontri sanguinosi nei mesi precedenti. Le scelte furono tutt’altro che omogenee. Per la Repubblica Orsara di Puglia (76%), Cerignola, San Severo, Manfredonia, San Marco in Lamis; per la monarchia spicca il 97% di Volturara Appula, superiore anche al 93% di un comune che aveva l’esito nel nome, Margherita di Savoia. Al di là delle divisioni e delle polemiche accese, il voto si svolse senza incidenti, segnato ovunque da una partecipazione da record. Una luce di democrazia dopo il buio del regime e della guerra. Il risultato del referendum sembrò consegnare un paese spaccato e diviso, ma i costituenti riuscirono a costruire un edificio complesso a partire da ciò che li univa: mai più dittatura, mai più sudditi al servizio di un potere, ma lo Stato al servizio del cittadino.

La Capitanata diede un contributo importante alla Costituente, inviando a Montecitorio figure notevoli, come ci ha raccontato Michele Galante in Costituenti di Capitanata (2018): i democristiani Raffaele Petrilli, Gerardo De Caro, Raffaele Recca, i comunisti Giuseppe Di Vittorio, Luigi Allegato, Giuseppe Imperiale, i socialisti Raffaele Fioritto e Carlo Ruggiero, cui si aggiunse il “qualunquista” Leonardo Miccolis.

Il 2 giugno è un punto di non ritorno. Per questo lo si celebra. È scelta definitiva per la res pubblica. Il governo è cosa del popolo, è cosa di tutti. E tutti siamo responsabili dei beni pubblici, direttamente e senza deleghe. Scegliere per la Repubblica fu anche un’assunzione di responsabilità: curarsi di ciò che è comune e non solo del proprio spazio privato. Oggi, a 75 anni da quel voto, la pandemia ci ha brutalmente ricordato che le scelte di ognuno ricadono su tutti, e che è illusione pensare di poter restare sani se il pianeta, la casa di tutti, è ammalato.

*docente di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici

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