Ha ancora senso celebrare il 25 aprile? E farlo in maniera consapevole, pensata, facendo di questa occasione qualcosa di diverso da una domenica qualsiasi?
Ha ancora senso celebrare il 25 aprile? E farlo in maniera consapevole, pensata, facendo di questa occasione qualcosa di diverso da una domenica qualsiasi? Per decenni la Liberazione ha costituito il punto d’orgoglio del paese. Il fattore identitario più sentito, il simbolo di un riscatto, mentre era forte il senso dell’onta per avere seguito per vent’anni un dittatore e i suoi deliri di potenza nazionale e imperiale (anche se gli storici che hanno parlato di consenso al regime hanno subito, inizialmente, violente contestazioni). Le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana venivano lette ai bambini la sera, studiate a scuola. Poi è successo qualcosa. Sul finire della prima Repubblica le cerimonie pubbliche sono divenute fiacche. Nella seconda repubblica il leader del centrodestra prese a disertarle regolarmente (tranne che nel 2009 ad Onna). Negli anni 2000 romanzi di successo hanno cominciato a sporcare l’immagine della Resistenza. C’era un’egemonia culturale da rovesciare e ridicolizzare. Risultato: un grande spaesamento, specie tra i giovani. Con facilità si procedeva a demolire il mito fondativodi una nazione, senza proporre nulla di valido per sostituirlo.
Quel giorno di 76 anni fa l’Italia è entrata in un’epoca nuova. È finita la guerra, si è aperta una stagione di pace. Lunga, la più lunga della storia. Mai in passato vi era stata pace per tre generazioni consecutive. Merito della Costituzione democratica che ripudia la guerra. Dell’Europa unita. Del sacrificio di 26 milioni di nostri connazionali emigrati all’estero, e delle loro rimesse. Del rovesciamento delle prospettive: non più sudditi al servizio dello Stato, ma lo Stato al servizio dei cittadini. Siamo consapevoli del tesoro che abbiamo tra le mani? E di quanto ancora pochi, minoritari, siano nel pianeta gli Stati che hanno “quadrato il cerchio” (Dahrendorf), riuscendo a coniugare sviluppo economico, libertà, democrazia, coesione sociale, Stato sociale? I mille problemi di oggi non possono farci dimenticare questo privilegio. Se quel primo 25 aprile non fosse stato eccezionale, e la storia avesse preso una piega diversa, senza quella Liberazione, io non starei scrivendo liberamente, voi non stareste leggendo. O avremmo dovuto combattere per farlo. Qualcuno lo ha fatto per noi. Per questo ogni 25 aprile deve essere un giorno eccezionale. Un giorno della memoria e della consapevolezza: dell’orrore della guerra, del razzismo, della dittatura (qualsiasi cosa buona possa aver realizzato: tanti tiranni nella storia hanno avuto una qualche sensibilità sociale), della bellezza della pace, della democrazia. Che non significa che la maggioranza decide tutto, ma che ogni minoranza ha voce, spazio, dignità. Perché i diritti umani o sono universali, cioè validi per tutti, o non sono.
Lo scorso 25 aprile sarà ricordato perché unico: c’era il lockdown. Quello del 2021, invece, andrà legato alla tragedia – l’ennesima – del Mediterraneo. Che non deve scivolare via come una notizia tra le altre. C’è troppa assuefazione e indifferenza. Se siamo liberi, è per liberare altri. Perché non cominciare da quanti sono rinchiusi nei campi e nelle prigioni attorno a noi, dalla Libia a Lesbos, aBihac?