Letizia Battaglia: la fotografia contro la mafia

Un ricordo della fotografa che raccontò la mafia

Letizia Battaglia
Francesca Romana Cicolella

Letizia Battaglia correggeva chiunque parlasse di lei come “fotografa di mafia”. “Io sono”, diceva, “fotografa contro la mafia”.

Un caschetto rosa e un archivio di foto storiche e sempre forti hanno contraddistinto fino al 14 aprile scorso Letizia Battaglia, la nota fotografa che si è spenta all’età di 87 anni. 
Nata a Palermo nel 1935, la Battaglia ha solo 16 anni quando sposa un uomo per scappare da una situazione familiare complessa. Quel matrimonio, da cui nascono tre figlie, si rivela però fonte di infelicità, rendendola vittima di violenze e restrizioni. Finirà ricoverata in Svizzera e, subito dopo, chiederà il divorzio da quel marito che rivedrà in punto di morte, perdonandolo, ha detto lei,  “Come si perdona a un fratello”. 
La sua carriera inizia a 36 anni e non come fotografa. Comincia a scrivere per L’Ora di Palermo, testata nota per il suo impegno contro la mafia. Nel 1970 lascia la Sicilia per trasferirsi in una città che amerà: MIlano. Qui Letizia Battaglia scrive per il Corriere della Sera e per Il Giorno. Sono gli stessi giornali, privi di tanti mezzi economici, a chiedere a Letizia di consegnare, assieme agli articoli, le fotografie. La reporter prende in mano, per caso, la macchina fotografica e, rendendosi conto della necessità di foto di ogni giornale, comincia a vendere i suoi scatti per pagarsi l’affitto. Sono quelle fotografie a farle acquisire notorietà nel mondo editoriale milanese permettendole, tra l’altro, di stringere rapporti professionali e di amicizia con Pierpaolo Pasolini, Dario Fo, Franca Rame e l’architetto Gae Aulenti. Nel 1974 Letizia Battaglia, oramai acclamata fotografa, decide di tornare nella sua Palermo, qui apre il Laboratorio d’IF (Informazione Fotografica). 

Negli ultimi anni di vita Letizia Battaglia si è dedicata a formazione e mostre, senza mai abbandonare quei principi per i quali ha lottato. È diventata simbolo di emancipazione e resistenza, restando sempre fedele ai valori che con le sue fotografie voleva trasmettere.
In un’intervista televisiva di un paio d’anni fa Letizia Battaglia ha ricordato e raccontato i retroscena di quelle fotografie che l’hanno resa nota e che l’hanno messa a stretto contatto con la parte peggiore della Sicilia e dell’Italia tutta. “Quando succedeva noi non sapevamo i motivi, sapevamo solo di questo enorme dolore di vedere ammazzate le persone migliori della città. Ammazzarono un bambino perchè aveva visto i killer del padre.” I reporter fotografavano e scrivevano quel che nelle foto si vedeva, nulla di più. “Se non fosse stato per Buscetta noi non avremmo saputo nulla” ha detto. Prendere coscienza che dietro un’immagine atroce ci fosse qualcosa di molto più grande, qualcosa che quell’immagine raccontava per metà perchè ne era solo una minima e a volte insignificante conseguenza fu ciò che portò probabilmente Letizia Battaglia a decidere di non fotografare più la mafia. Non perchè le facesse paura, non perchè non glielo permettessero o non ne avesse le capacità. “Non mi hanno mai censurata, all’inizio c’era resistenza a farmi fotografare fin quando io non mi sono imposta, sia gridando sia facendo la cafona. Boris Giuliano, capo della polizia che poi fu ammazzato, impose ai suoi di farmi passare.” Letizia Battaglia divenne, quindi, lo sguardo dell’informazione sulla mafia e sulle sue tragedie, con tenacia e determinazione.

Fu poi un grande trauma a farle scegliere di smettere di fotografare le scene di mafia, senza mai però abbandonare l’idea di combatterla. La morte di Giovanni Falcone, infatti, mise la fotografa di fronte all’impossibilità di ritrarre una scena così atroce. Una scelta coraggiosa, a seguito della quale decise di puntare l’obiettivo della sua Pentax su altri volti, altre scene.
La morte lasciò spazio alla vita, alla bellezza. I suoi ritratti sono e rimarranno i più suggestivi e noti, come quello della bambina con il pallone che, oramai donna, ha versato lacrime e lasciato dichiarazioni commoventi al suo funerale laico. 

La lotta alla mafia però è rimasta sempre centrale nella vita di Letizia Battaglia. Fotografare vita e speranza ha fatto parte di quella battaglia che si è trasformata in azione concreta in quella Palermo tanto amata e troppo vessata dalla malavita. Qui infatti, nei suoi ultimi anni di vita, la fotografa ha fondato e diretto il Laboratorio di Informazione Fotografica. Permettendo ai giovani di conoscere e scoprire davvero la fotografia. Il centro d’IF, come lei stessa raccontò in una delle interviste video che si trovano su youtube, “lavora senza soldi e fa mostre bellissime”. Non è dedicato a nessuno, non porta volutamente il nome di vittime di mafia o di altri importanti personaggi ma produce cultura e la cultura, si sa, è lo strumento di vera resistenza.

Le foto di Letizia battaglia dicono molto di ciò che lei è stata, della sua voglia di catturare la bellezza e dei periodi storici in cui ha fotografato. Non c’è strategia né costruzione, c’è solo istinto e voglia di catturare dietro ogni foto. Letizia Battaglia fotografò, dopo aver lasciato i reportage di mafia, solamente donne. L’unico uomo protagonista dei suoi scatti fu Pierpaolo Pasolini. “Gli uomini non li fotografo, non mi piace fotografarli” spiegò con semplicità in un’intervista apparsa su Artribune. “Con le donne ho più empatia”- disse - “credo di più nelle donne.”
Proprio per le donne, per i giovani in genere, è diventata e sempre rimarrà icona e fonte di ispirazione. “Io non sono stata una femminista anche se vivevo e lavoravo in una società maschilista.” – raccontò – “Per molto tempo ho procrastinato la mia libertà, perché sentivo la mia responsabilità, il mio dovere di amare la famiglia a cui ero legata. Certo la mia libertà e autocostruzione l’ho trovata solo nella Fotografia”.

Letizia Battaglia non amò solo la fotografia. Le parole, come i pensieri e la loro libertà, per lei furono altrettanto importanti, come dimostrano le numerose didascalie che lei stessa scriveva dietro alcuni scatti. Disse lei stessa: “Adoro tutto ciò che a che fare con l’editoria e con la possibilità di esprimere un pensiero”.