La COP30 di Belém: contesto, simboli e aspettative globali
Cop 30
Giulio Mario Cappelletti

La settimana dal 10 al 21 novembre 2025 si è tenuta a Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazonia, la 30ª Conferenza delle Parti sul clima, detta anche COP30 o COP di Belém. Le COP, arrivate appunto alla trentesima edizione, sono degli incontri annuali di oltre 190 nazioni che si realizzano in ambito ONU. Incontri in cui le rappresentanze governative degli stati partecipanti, alla presenza di tutte le più importanti ONG e i media mondiali, cercano di trovare un accordo “planetario” per risolvere il gravoso problema del cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico, con la crisi ambientale ad esso legata, è considerato oggi, il più grande problema che il mondo deve affrontare e risolvere nel lungo periodo. Il Global Risk Report 2025 del World Economic Forum, di fatto, evidenzia come nella classifica dei principali rischi a cui il Pianeta è esposto nei prossimi 10 anni, i primi 4 posti siano occupati
da problematiche legate al clima che cambia (Fig.1).

Fig.1 Attuale panorama dei rischi globali

Fig.1 Attuale panorama dei rischi globali

Pertanto, la COP 30 quest’anno è stata particolarmente attesa per alcuni interessanti motivi. Primo, perché la Conferenza si è tenuta in Brasile, a Belém appunto, città posta nel cuore dell’Amazzonia, luogo simbolo dell’importanza delle foreste e delle popolazioni indigene. Dopo 3 anni in cui le COP sono state ospitate e presiedute da nazioni produttrici di idrocarburi, meno interessate a contrastare la principale causa del climate change, quale la produzione, vendita e consumo di carbone, petrolio e gas (COP 27 a Sharm el-Sheikh in Egitto, COP 28 a Dubai negli Emirati Arabi Uniti, COP 29
a Baku in Azerbaijan), la scelta di riunirsi nel cuore dell’Amazzonia ha invece sottolineato l’importanza delle foreste nella lotta al global warming. Le foreste sono i polmoni verdi del Mondo oltre che i principali “pozzi di assorbimento di anidride carbonica” presente in atmosfera, la cui elevata concentrazione è responsabile della catastrofe climatica in atto.

Dieci anni dall’Accordo di Parigi e i risultati deludenti della COP30

La COP 30 è stata anche importante perché si sono celebrati nel suo corso i 10 anni dell'Accordo di Parigi; il trattato giuridicamente vincolante firmato nel 2015, in cui 194 Stati si sono impegnati contenere l’aumento delle emissioni
di CO2 a un livello tale che la temperatura media globale, rispetto a quella preindustriale, non aumentasse più di 1,5° C, al massimo 2°. Il 2025 rappresenta quindi un anno di riflessione, per capire cosa è stato fatto nei dieci anni trascorsi e cosa bisogna ancora fare. Considerato che il 2024 con i suoi + 1,55° C di aumento delle temperature rispetto ai livelli preindustriali è stato l’anno più caldo degli ultimi 175 anni, essendo gli obiettivi di base dell’Accordo di Parigi a raggiunti e superati, dalla Conferenza di Belém, ci si aspettava una presa di responsabilità molto forte da parte della governance mondiale, che si concretizzasse in un accordo vincolante per l’uscita graduale da una economia planetaria basata sul
carbone, petrolio e gas. Invece no. I risultati principali della COP 30 sono stati il Mutirão Decision, testo politico che riafferma l'obiettivo di 1,5°C dell’Accordo di Parigi. La richiesta di aumentare i finanziamenti climatici per l'adattamento, con l'obiettivo di raggiungere almeno 1.300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035. Il lancio del Tropical Forest Forever Facility (TFFF), per la conservazione delle foreste tropicali e sostegno alle comunità indigene, pur senza un piano globale vincolante.

Iniziative parallele, transizione energetica e segnali contrastanti

Alla fine, come ha osservato il WWF, gli elementi più rilevanti della COP 30 sono emersi, fuori dalla COP30, ossia dalle iniziative promosse dalla presidenza brasiliana al di fuori dei negoziati formali dell’ONU. Tra queste spiccano l’avvio di un percorso per superare l’uso dei combustibili fossili e l’impegno a fermare la deforestazione delle foreste tropicali entro il 2030. A cui si aggiunge la creazione di un fondo internazionale per la tutela delle foreste, che a fine 2025 ha già raccolto quasi 10 miliardi di dollari grazie al contributo di diversi Paesi. Azioni che mostrano come una parte della
comunità internazionale non intende accettare l’attuale fase di stallo dei negoziati internazionali. Tutto questo mentre le energie rinnovabili nel mondo sono in forte espansione, mostrando una chiara tendenza alla voglia di realizzare la transizione energetica verde. Non a caso, la produzione totale da fonti rinnovabili è cresciuta in media del 2,5% all'anno nell’ultimo decennio, ma con picchi molto più elevati nel 2024. Anno in cui secondo Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) si è registrato un aumento record del 15,1% nella capacità installata mondiale. Transizione che resta comunque troppo lenta rispetto ad un mondo in cui le emissioni climalteranti continuano inesorabilmente a salire. Nel giro di pochi decenni secondo il programma europeo Copernicus, la media di CO2 nell’atmosfera è già passata da 360 ppm a 420 ppm, un valore che non era mai stato raggiunto prima, da quando esiste la specie umana (Fig.2).

Fig.2 Concentrazione globale di gas a effetto serra in atmosfera

Fig.2 Concentrazione globale di gas a effetto serra in atmosfera

Impatti futuri, punti di non ritorno e responsabilità collettiva


Tutto questo evidenzia come ai giorni nostri, mentre il mondo cerca di trovare un nuovo assetto di governance planetaria imposto dalla globalizzazione economica - e le COP sono parte integrante di questo sforzo - un problema globale come quello del global warming non può essere affrontato se non con soluzioni globali. Il cambiamento climatico in corso porterà a delle profonde modificazioni nelle condizioni ambientali che la specie umana ha vissuto sin da quando ha
cominciato a coltivare intensamente la terra e ad aumentare la sua popolazione. Pensando ad esempio solo all’agricoltura, che tanto riguarda il nostro territorio e la sua economia. Molte aree del Pianeta diventeranno inabitabili, raggiungendo temperature superiori ai 60° C, in particolare in Africa, Asia centrale, Medio Oriente e questo porterà a grandi esodi di popolazioni disperate che si sporteranno verso Nord e verso Ovest, con flussi oggi ancora non immaginabili. Nelle zone soggette a desertificazione molti terreni fertili diventeranno aridi e certe zone aride diventeranno inabitabili,
mentre altre potranno diventare fertili. Comunque cambieranno le condizioni geo-climatiche del Pianeta e con esse anche la disponibilità e la distribuzione delle risorse. Società come quella Mediterranea che dipende dal clima per le
sue colture dovrà riadattarsi rapidamente con le sue coltivazioni alle maggiori temperature e alla scarsità di acqua, e le relative economie saranno messe a dura prova per continuare ad essere redditizie (lo vediamo già oggi con le piantagioni che caratterizzano il nostro territorio grano, ulivo, vite). Altre società poste più a Nord vedranno le loro terre diventare adatte a tipologie di coltivazioni industriali come grano, granturco ed altri prodotti agricoli ad elevato rendimento. Ma, avranno bisogno di molto tempo ed enormi risorse e competenze per adattarsi a queste nuove sfide produttive.
Il tutto aggravato dalla velocità con cui queste modifiche si manifesteranno e dalla stretta interconnessione che caratterizza i diversi problemi ambientali generati dall’aumento delle temperature. Interconnessione che è alla base dei cosiddetti “tipping points”, alla lettera “punti di non ritorno”, ossia valori soglia di crescita di alcune variabili ambientali oltre le quali un piccolo cambiamento aggiuntivo può causare una trasformazione drastica e spesso irreversibile di un sistema. Esempio classico è lo scioglimento dello stato di permafrost nelle zone montuose e sub artiche attualmente in corso, che imprigiona enormi quantità di gas serra che andranno a sommarsi a quelle già presenti in atmosfera, generando effetti dirompenti di cui neanche la scienza sa bene misurare oggi l’entità, pur sapendo che saranno catastrofiche per l’uomo e la stabilità della vita sul Pianeta.

Non si può tentennare davanti a tutto questo. Il bisogno degli Stati di risolvere problemi globali davanti alla globalizzazione economica che avanza li ha spinti a cercare, da decenni ormai, forme di cooperazione come le COP. Ma le nuove “istituzioni globali”, con tutta evidenza, faticano a fornire delle risposte incisive. Per questo l’impegno di tutti, sia come singoli cittadini, ma anche come organizzazioni - e le Università ne sono parte - diventa vitale per tenere vivo il dibattito e gli obiettivi ambiziosi necessari per risolvere l’annoso problema del clima che cambia. La febbre del Pianeta non può aspettare, e per ridurla serve l’impegno quotidiano di tutti. Nessuno escluso.