DDL Zan: i dettagli giuridici per comprendere e combattere le discriminazioni

La battaglia alle discriminazioni e gli aspetti giuridici del DDL Zan

DDL Zan: i dettagli giuridici per comprendere e combattere le discriminazioni
Francesca Romana Cicolella

In Italia ogni disegno di legge diventa testo di legge ed entra in vigore seguendo un iter definito. Ogni proposta viene quindi vagliata dalle Camere e dalle commissioni preposte, viene discussa e poi approvata con le eventuali modifiche. L’iter può richiedere anche molto tempo e le ragioni sono svariate. 
La discussione su ogni DDL è chiaramente di natura politica oltre che giuridica. Alcuni temi risultano più delicati e le questioni, proprio in quanto politiche, portano a scontri e dibattiti seguiti mediaticamente.
Tuttavia alcuni aspetti, legati alla giurisprudenza e quindi alle rilevanze costituzionali e penali di ogni legge, non sempre sono note. Rischiano anzi di non essere prese in considerazione soprattutto quando una proposta di legge diviene fenomeno mediatico, positivo per parlare di certi temi da un lato, negativo se si pensa a quelle parti del discorso analizzate poco.

Emblematico, in questo senso, è il caso del DDL Zan: un disegno di legge, proposto dal parlamentare del PD Alessandro Zan, che punta alla modifica degli articoli 604 bis e ter del codice penale e del decreto legge 122 del 1993 (la legge Mancino). Il disegno di legge interviene, quindi, sul tema della discriminazione e dell’odio.
Come ci ha spiegato il prof. Giandomenico Salcuni, docente di Diritto Penale dell’Università di Foggia, “ad oggi un presidio penalistico contro fenomeni discriminatori e di odio è offerto dagli artt. 604 bis e 604 ter. Quest’ultima disposizione costituisce una circostanza aggravante, non bilanciabile, applicabile a tutti i reati, salvo quelli puniti con l’ergastolo, commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità. Si tratta di una aggravante soggettiva che reprime maggiormente una serie di reati quando ricorre il fine diretto di discriminazione o indiretto, cioè favorire aggregazioni che hanno come finalità la discriminazione e la diffusione delle idee di odio. L’art. 604 bis si compone di tre commi, i primi due fattispecie autonome di reato, il terzo invece prevede l’aggravante c.d. del negazionismo. In particolare al co. 1 si punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; oppure chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Al co. 2 si punisce ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Il disegno Zan introduce l’orientamento, il genere sessuale e l’abilismo negli articoli 604 bis e ter, mentre estende la legge Mancino ai reati di violenza fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sull’abilismo.
Il ddl, poi, prevede anche che venga estesa la condizione di «particolare vulnerabilità» alle vittime di violenza fondata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sull’abilismo;  l’istituzione  della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione, il contrasto ai pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. L’approvazione del disegno di legge porterebbe anche a una ulteriore dotazione di 4 milioni di euro per il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità; prevederebbe che l’Istat realizzi almeno ogni tre anni una rilevazione che possa essere utile a pensare e attuare politiche di contrasto alla discriminazione e alla violenza.

Il ddl attualmente è al vaglio della commissione di giustizia del senato ed è soggetto a numerosi rinvii. Proprio i tempi lunghi di discussione stanno facendo parlare molto. La proposta e l’approvazione di un ddl seguono un iter ben preciso, come ci ha spiegato il prof. Daniele Coduti, docente di Diritto Costituzionale dell’Università di Foggia.
“Un disegno di legge può essere presentato a una delle due Camere dai soggetti cui la Costituzione riconosce l’iniziativa legislativa: deputati e senatori, Governo, Consigli regionali, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, popolo (50.000 elettori). 
Il procedimento legislativo può seguire percorsi differenti, ma il procedimento ordinario prevede l’assegnazione del d.d.l. alla commissione parlamentare permanente competente per materia, anche se prima possono essere acquisiti i parerei di altre commissioni permanenti interessate al tema. La commissione competente svolge un ruolo fondamentale giacché istruisce la discussione, discute il d.d.l., lo elabora, se esistono differenti disegni di legge sul medesimo argomento prova a redigere un testo unico che tenga conto delle diverse ipotesi avanzate (c.d. testo unificato) e trasmette tale testo all’Assemblea, con una relazione illustrativa e con la nomina di un relatore, che illustrerà il testo in Aula. Peraltro, laddove in commissione vi fossero due orientamenti divergenti, si potrebbero nominare due relatori per l’Aula, uno di maggioranza, l’altro di minoranza.
Giunto in Aula, il d.d.l. viene discusso, votato articolo per articolo e poi in votazione finale (ovverosia, con un voto sull’intero testo).
Se approvato, il testo viene inviato all’altra Camera, che segue grosso modo il medesimo iter. Se anche l’altra Camera approva il testo senza modifiche, il testo legislativo viene inviato al Presidente della Repubblica per la promulgazione e, dopo questa, viene pubblicato in Gazzetta ufficiale ad opera del ministro della giustizia; la legge – di solito – entra in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
Tuttavia, se la seconda Camera approva il testo con delle modifiche, esso deve ritornare alla prima Camera, che dovrà a sua volta approvarlo con le modifiche apportate dall’altra; infatti, poiché il Parlamento italiano si basa su un bicameralismo c.d. paritario o perfetto e le due Camere hanno i medesimi poteri, ogni disegno di legge deve essere approvato da entrambe le Camere nel medesimo testo. Pertanto, il testo è destinato a passare da una Camera all’altra sino a quando entrambe non approvano lo stesso testo (c.d. navette).
Ovviamente, nel momento in cui una qualunque delle due Camere vota contro il d.d.l., l’iter si interrompe e il disegno di legge non viene approvato, anche se l’altra Camera lo ha approvato”.

E per quanto riguarda il d.d.l. in questione come siamo messi?
“Al momento, il d.d.l. Zan è stato approvato dalla Camera dei deputati, trasmesso al Senato, acquisiti i pareri delle commissioni filtro, assegnato alla commissione competente (Commissione giustizia), che non ne ha ancora iniziato l’esame”.

Il prof. Coduti ha spiegato anche quali sono le ragioni che portano alla sospensione o al rinvio di una proposta: “i motivi che possono ostacolare, rinviare o sospendere il procedimento di approvazione di un disegno di legge possono essere tecnici e politici. Dal primo punto di vista, possono essere rilevanti i pareri delle commissioni filtro che possono avanzare dei dubbi sul disegno di legge (sulla sua costituzionalità o sulla sua sostenibilità finanziaria, per esempio), oppure ragioni di carattere procedurale (l’esigenza di dare la precedenza a disegni di legge che devono essere adottati entro una scadenza predeterminata, come il disegno di legge di bilancio). Dal secondo punto di vista, possono rilevare ragioni di carattere politico, giacché le diverse forze politiche rappresentate in Parlamento possono legittimamente rappresentare le diverse opinioni espresse da una società democratica di stampo pluralista, sicché – in assenza di una soluzione di compromesso – i parlamentari che si oppongono all’approvazione di un certo d.d.l. possono ricorrere agli strumenti ostruzionistici consentiti dalle regole di funzionamento delle due Camere”.

Nel caso del DDL Zan la questione è, quindi, fortemente di natura politica.  I partiti sono schierati in maniera continuamente diversa e contrastante e, anche grazie alle rimostranze di personaggi pubblici come il rapper Fedez e alla challenge instagram di sostegno, la vicenda rimbalza quotidianamente su giornali e social media. Ma il rumore mediatico, come quello creatosi attorno al ddl Zan, può in qualche modo influire sull’accelerazione o frenata dell’approvazione? Le raccolte firme online che valore giuridico hanno?
“Poiché le decisioni relative all’approvazione di un d.d.l. sono anche politiche, il clamore mediatico incide sicuramente, perché polarizza maggiormente le posizioni contrapposte delle forze politiche che devono tenere il punto per mostrare la loro fermezza all’elettorato di riferimento. In questo senso, le raccolte di firme, che non hanno alcun valore dal punto di vista giuridico, possono avere un impatto politico e mediatico, inducendo le forze politiche a irrigidirsi nelle loro posizioni. Invece, l’approvazione dei disegni di legge – ancor più di quelli con un oggetto eticamente sensibile – dovrebbe tentare di ottenere il consenso del più ampio numero possibile di parlamentari, cosa che è possibile solo con soluzioni di compromesso, che lo scontro politico rende più difficile raggiungere”.

La vicenda è quindi delicata, le motivazioni politiche di entrambe le parti sono nette e significative. Oggi, indubbiamente, l’esigenza di far fronte a episodi di discriminazione e odio si sente forte. Sentire che ancora esistono fenomeni di violenza e soprusi nei confronti di persone disabili o che esprimono liberamente il loro orientamento sessuale è indubbiamente inaccettabile. Sapere che ci si voglia mobilitare per farvi fronte è confortante, con la consapevolezza che gli aspetti di natura giuridica sono complessi.
Il prof. Salcuni, cui abbiamo quindi chiesto se da un punto di vista penale sarebbe utile l’approvazione del DDL Zan per aiutare chi subisce offese di vario genere legate al suo orientamento sessuale o alla disabilità, ha sottolineato infatti che: “il ddl Zan e altri estende a portata dei citati artt. 604-bis e ter c.p. ai comportamenti motivati da sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e contro persone con disabilità. Gli artt. 604 bis e ter non hanno avuto fino ad oggi grande applicazione giurisprudenziale, risolvendosi – per alcune condotte – in reati di opinione laddove è difficile distinguere il confine fra libera manifestazione del pensiero e discriminazione. La stessa nozione di discriminazione è caratterizzata da una certa vaghezza semantica che espone la norma al rischio di incostituzionalità per difetto di precisione.”

Praticamente il reato, per essere contestato, deve essere compreso da tutti e quindi scritto in maniera precisa per poterlo individuare e punire. La discriminazione è un concetto giuridicamente non preciso e questo potrebbe portare ad ambiguità nell’interpretazione e applicazione delle relative pene.

“Il rischio ulteriore adombrato da una parte della dottrina penalistica è quello di limitare la libertà di espressione coerentemente alle proprie convinzioni religiose o morali relative alle questioni legate all’identità di genere. La norma non si limita a punire la realizzazione di veri e propri atti di discriminazione soggettiva nei confronti dei soggetti tutelati, ma rischia, per come formulata, di reprimere anche disparità di trattamento che si giustificano con la difesa di concezioni tradizionali dell’identità. Senza contare che l’ordinamento già prevede forme di tutela rispetto a simili fenomeni, come ad esempio l’aggravate di cui all’art. 61, n. 1 c.p.. La linea di demarcazione fra discorsi leciti e illeciti, già estremamente sottile nel vigente assetto degli art. 604 bis e ter, rischia di divenire ancor più labile rimettendo il problema al giudice penale, anziché al decisore politico (il Parlamento, N.d.r.). Più ci si allontana dalla violenza e più si acuiscono i problemi legati alla compatibilità delle condotte incriminate con la libera manifestazione del pensiero, soprattutto nella lett. a dell’art. 604 bis il giudice sarà chiamato a valutare il motivo che muove il comportamento incriminato. Si tratta di indagini soggettive difficilmente compatibili con un diritto penale del fatto. A queste considerazioni si potrebbe obiettare che il discrimen è stato trovato dalla stessa giurisprudenza sia costituzionale, sia di legittimità con riguardo alle fattispecie di istigazione, reinterpretate come reati di pericolo concreto. Per la verità il giudizio di pericolo concreto non è asettico, perché qui la verifica di pericolosità è infiltrata da componenti valutative che risentono del modo di concepire, ricostruire e perimetrare il peso di questi beni tutelati. Non a caso, di recente, si suggerisce in dottrina una tecnica di tutela legata sul pericolo astratto però con tipizzazione casistica nelle condotte e dei fatti ragionevolmente offensive dei beni in gioco. Questo richiederà un ulteriore sforzo al decisore politico. Considerata poi la scarsa applicazione degli artt. 604 bis e ter non si va molto lontano dal verso se afferma che il ddl Zan è – per la parte penalistica – espressione di un uso simbolico del diritto penale.”

In buona sostanza, sebbene l’idea di base del DDl Zan possa ritenersi valida e fondata, il rischio che l’applicazione concreta in giurisprudenza venga meno c’è. La riflessione ha bisogno indubbiamente di essere ampia, i particolari vanno analizzati e, se da un lato i tempi di discussione hanno senso, è comunque giusto che si accorcino quanto più possibile. Un rumore mediatico può e deve aiutare la politica a trovare la strada giusta e a prendere le giuste decisioni, tenendo però sempre conto di numerosi aspetti che la nostra giurisprudenza pone e che non si può trascurare. Certe considerazioni, anzi, possono servire per analizzare ancor più a fondo la questione e porre, in maniera seria e definitiva, un freno a fenomeni discriminatori da combattere.